Historia magistra vitae scriveva Cicerone. I drammatici eventi di questi ultimi giorni, richiamano i corsi e ricorsi storici di vichiana memoria. La radio ha accompagnato tutti gli eventi storici, politici e di cronaca degli ultimi cento anni.
Ci sono stati momenti nei quali la televisione non è stata in condizione di poter raccontare quel che succedeva ed ha avuto ancora bisogno della radio, la “sorella cieca della tv”. La televisione non riusciva ancora a far vedere cosa stava succedendo a Firenze il 4 novembre 1966, giorno dell’alluvione di Firenze.
La mattina di quel 4 novembre il bollettino meteo radiofonico così recitava “piovaschi in Toscana”, cioè pioggiorelline in Toscana. Marcello Giannini, redattore capo della sede Rai fiorentina, era distrutto da un’intesa giornata di lavoro, poco prima della mezzanotte del 3 novembre e alle prime ore del 4 novembre una pioggia incessante si abbatte sul capoluogo toscano. Il telefono di Giannini squillò: era la Prefettura che informava il giornalista che l’Arno, così gonfio non si era mai visto e che la situazione a Firenze, ma in altre località toscane, stava precipitando. Allora non esisteva la protezione civile, la Rai, in un certo senso, era la protezione civile, il megafono di tutti, anche in considerazione del fatto che, all’epoca, non c’era nient’altro. Giannini si rimise le scarpe, salutò la moglie Agnese, prese la macchina e tornò in ufficio, allora nel cosiddetto palazzo delle cento finestre, in piazza Santa Maria Maggiore, nel cuore del cuore di Firenze. Si preparò alla nottata in redazione, con i pochissimi colleghi e tecnici del servizio notturno. Prese contatto con i corrispondenti da tutta la Toscana: alle 2,30 del 4 novembre gli dissero che la strada fra Figline Valdarno e Incisa era coperta d’acqua. Capì la situazione e rimase sconvolto: Firenze dormiva mentre cresceva la catastrofe. Nessuno, nemmeno Marcello, poteva immaginare che la mostruosa onda di piena ingigantita dagli affluenti nel Valdarno, che è appunto la casa dell’Arno, stava correndo verso la città. Dove tracimò dalle spallette alle 7,26, quando gli orologi elettrici si fermarono. Luce, acqua, gas, mancavano quasi ovunque. Firenze moriva e il mondo non lo sapeva, Firenze moriva e il novanta per cento dei fiorentini ancora non lo sapeva. Giannini, durante la notte, aveva provato invano a far passare la tremenda notizia al giornale radio. Che alle 8 del 4 novembre del 1966 aprì con la notizia che l’Italia stava celebrando la giornata delle forze armate. Marcello sentì che il suo dovere di giornalista era quello d’imporsi anche su chi non voleva intendere. Chiese la linea per motivi di estrema urgenza: gliela dettero. Lui, con voce strozzata, raccontò che l’Arno scrosciava sopra le spallette del Ponte alle Grazie e del Ponte Vecchio: un mare d’acqua fangosa franava su una città tagliata in due, isolata dal mondo, irraggiungibile dal cielo e dalla terra, dalla capitale dei ministeri e dell’esercito. Ma nel momento in cui Marcello voleva aggiungere che l’acqua aveva raggiunto i sei metri in Santa Croce, nella basilica del Cristo di Cimabue e dei Sepolcri cantati dal Foscolo, e che stava per sfondare il portone del Duomo, da Roma lo sfumano. Puff. Collegamento staccato. Incredibile! Lui s’infuriò: volle parlare con Ettore Bernabei, il potentissimo direttore generale della Rai, con il quale aveva lavorato al Giornale del Mattino, foglio d’ispirazione cattolica e democristiana, chiuso da appena qualche mese. Il tentativo riuscì: Marcello parlò con voce concitata. Bernabei gli risponde calmissimo. E benevolmente lo rimproverò: «Capisco il tuo stress – gli disse – so che hai lavorato tutta la notte e te ne rendo merito, ma prima di allarmare l’Italia bisogna fare verifiche. Aspetta, scendi a prendere un caffè in via Cerretani, poi rifacciamo il punto della situazione».
Giannini rischiò di esplodere per la rabbia, ma era un giornalista, un caporedattore, un uomo Rai. Non rispose subito, si guardò intorno, afferrò il microfono, aprì una delle cento finestre del palazzo di piazza Santa Maria Maggiore e fece la prima cosa che gli saltò in mente: calò il microfono per far sentire a Bernabei lo sciacquìo dell’Arno che aveva invaso anche il portone del palazzo e ormai imperversava nel centro storico di Firenze, trascinando macchine e sfondando vetrine. Ettore Bernabei, giornalista collaudato, capì finalmente che qualcosa di grosso era successo. Non immaginava che Firenze, città dove anche lui era nato, fosse sul punto di sparire come una mitica Atlantide. Ma le notizie, lui evidentemente la pensava così in quel tempo, bisognava darle senza scioccare l’ascoltatore. Che comunque aveva già capito.
La sera le prime notizie sul disastro vennero date dal telegiornale condotto da Sergio Zavoli dallo studio di Roma, ma sia per la diffidenza iniziale, sia perché la tv non era riuscita ancora a mandare i propri operatori nel capoluogo toscano perché tutto ormai era sotto l’acqua, fu necessario collegarsi tramite relais (collegamento interno) con Marcello Giannini.
Ieri, su Radio1, tanto bistrattata da qualcuno, nel corso della trasmissione Cento. Un secolo di radio, il professor Umberto Broccoli ha riproposto le voci di Sergio Zavoli e di Marcello Giannini in una radiocronaca efficace, che è storia della radio italiana.
Sergio Zavoli, “il principe del giornalismo televisivo” (definizione di Indro Montanelli) che aveva iniziato proprio in radio, dallo studio televisivo romano lascia la parola a Marcello Giannini:
GIANNINI: Firenze è una laguna. Se apro una finestra, tanto per dare l’impressione di che cosa cè sotto di noi, se si sente il rumore, non so se vi giunge questo rumore.
ZAVOLI: Arriva perfettamente.
GIANNINI: Ecco questo non è un fiume, è la Via de’ Cerretani, è la via Panzani, è il cuore di Firenze invaso dall’acqua. Sono molte le zone dove l’acqua è alta un paio di metri, sembrerà strano che io dica che non c’è dramma a Firenze, ma in realtà è così, non c’è dramma perché la popolazione è esemplarmente calma.



Per gli studi e le teche radio è passata la storia italiana, quindi quando noi riascoltiamo trasmissioni storiche è come se leggessimo un libro di storia.
La Rai in tutta la sua storia ha sempre svolto un servizio pubblico, forse l’unico momento discutibile, dal punto di vista della qualità dei programmi, a detta dei radioascoltatori e di chi vi ha lavorato, è stato quando la radio fu diretta da qualcuno che critica i programmi radiofonici (e forse anche televisivi) senza averli ascoltati o guardati. Questo mi viene da scrivere d’acchito, visto che il diretto interessato me lo disse molti anni fa: era un’accusa che gli facevano (lo disse ridendo) i suoi detrattori in merito alla critica televisiva. Poi egli si trovò a dirigere i programmi della radio… Ritengo sia più facile scrivere di radio che farla, questo lo sperimento sulla mia pelle, io, sia chiaro io non sono legato a nessun partito, non sono schierato con nessuno, proprio per tale ragione sono confinato su strutture e “canali minori”, critico o apprezzo i programmi dopo averli ascoltati nella loro interezza e senza faziosità. Al momento opportuno, cioè solo dopo avere attentamente ascoltato tutti gli attuali programmi (per ora ne ho ascoltati solo il 60%) scriverò. Per ora mi sono limitato a questioni storiche. Poi informo chi critica e denota una scarsa professionalità e un “cattivo uso della radio” citando Luigi Einaudi, che io (ma anche lui) dobbiamo stare attenti ad usare la parola “storico” . Ciò perché una capra (definizione di Vittorio Sgarbi), capra in storia e non solo, più somaro del più somaro dei miei ex allievi in storia, nella lingua italiana ecc. (ha soltanto un misero diploma)., considera storico soltanto Renzo De Felice. Costui, preso dal proprio ego, vorrebbe prendere il posto di Bruno Vespa, si crede il miglior giornalista italiano, meglio di Sergio Zavoli (esistono ancora i matti che ci credono Napoleone). Egli, pur scodinzolando dietro ai politici e accusando giornalisti professionisti e vertici Rai non riesce ad ottenere il posto di Vespa, ma si anche la politica ha un limite… Il soggetto in questione deve avere avuto pessimi voti in italiano e in storia, e comunque un pessimo rapporto con la scuola visto che considera i docenti “fannulloni, ignoranti”… Certo la radio e la televisione italiana toccherebbe si fondo inserendo questo megalomane montato con un suo programma in prima serata (a ciò il megalomane aspira) ma al momento non mi risulta lo abbia fatto… Ripeto anche la politica ha un limite…


