Vittorio Salvetti
L’UOMO DEL FESTIVALBAR, CHE RIUSCI’ A BOCCIARE SILVIO BERLUSCONI
(tratto da L’Opinione delle Libertà 04/08/2003)
Vittorio Salvetti nacque a Cremona il 6 giugno 1937, figlio di un funzionario di polizia, trascorse l’adolescenza a Napoli, poi si trasferì con la famiglia a Padova. Studente a ragioneria si mantiene gli studi facendo lo spoglio delle schedine del totocalcio la domenica sera. “Ero un sestuplista, ero pagato meglio degli altri – aveva dichiarato nel corso di un’intervista dell’inizio degli anni ’90 concessa a Giò Alajmo – visto che il sestuplista, che facevo lo spoglio dei sistemi, prendeva fino a 2500 lire per ogni domenica.” Proprio all’istituto per ragionieri Calvi di Padova, Salvetti, siamo nel 1951, esordisce come organizzatore di uno spettacolo degli studenti della scuola. Il 1951 fu anche l’anno di esordio del festival di Sanremo: “il festival di Sanremo lo ricordo benissimo –disse sempre nel corso della già citata intervista – perché ascoltavo la radio la sera, come tutti i miei compagni di scuola, mia madre, la famiglia, tutti. Ci riunivamo intorno alla radio e potete immaginare il resto. A Sanremo il primo anno parteciparono solo tre cantanti, ma per me, ragazzino di 14 anni, che già organizzava spettacoli a scuola, fu una cosa importantissima… Anche perché poi negli spettacoli si cantavano quelle canzoni li… Io organizzavo i miei primi spettacoli e ne ero il presentatore… erano le prime festine, portavo io il giradischi, un Geloso, con cui era possibile registrare con il filo…” Salvetti organizza, sempre d’estate, altri spettacolini arrivando a guadagnare fino a 10.000 lire per evento. D’inverno ritorna a studiare, nel maggio 1951 si esibisce al Caffè Pedrocchi di Padova recitando la poesia il 5 maggio di Alessandro Manzoni, quindi organizza al Teatro Verdi di Padova uno spettacolo di fine anno per la sua scuola. Sempre nel 1951 si reca alla Fiera di Padova dove c’era la Radio Squadra della Rai, che andava in giro con un piccolo pulmann e che trasmetteva tutte le sere mezz’ora. “io avevo una mia rubrichetta fissa che si chiamava Fiera felice, era una cosa importante perché si andava in diretta, e mia madre, quando sentiva la mia voce alla radio, impazziva. Otello Piazza, ex campione del mondo di lotta libera, gestore del Caffè Pedrocchi, fa un contratto al giovane Salvetti: “mi aveva preso in simpatia e mi pagava le serate con uno o due cappuccini, e due o tre brioches, a seconda che andasse bene o male. E io lo capivo dalle pacche sulle spalle che mi dava alla fine: se non era stato un successo mi dava un leggero tocco e arrivava un cappuccino e una brioches, se era andato tutto bene mi dava una pacca stile lotta libera, da stendermi, e arrivavano anche due cappuccini e una fetta di torta. Quello della fame era un problema, data l’età e il periodo. A casa si mangiavano grandi pastasciutte perché almeno gonfiavano, La carne la vedevo una volta ogni tanto, e allora per me erano importanti anche i cappuccini.”
Nell’estate 1951 Salvetti è fra gli organizzatori delle selezioni di Miss Italia, l’organizzatore per il Veneto, l’arbitro Gino Rigato di Mestre era un suo amico. “Alle selezioni del Veneto molto spesso non mi facevano entrare perché, avendo 14 anni, ci voleva il permesso di mia madre. Per poter viaggiare senza mia mamma, il permesso venne fatto a Rigato, che oltre a fare l’arbitro si divertiva a fare queste cose durante l’estate. Lavorava al Comune, ma si prendeva abitualmente le ferie ed io ero il presentatore, giovane ma abbastanza bravo. Prendevo 200.000 lire in due mesi, luglio e agosto, ero il più ricco dei miei compagni. Il primo anno non mi fecero presentare la finale, perché c’era già uno che invidiavo, mi ricordo che si chiamava Carlo Moretti, bravissimo, che faceva questo mestiere da dieci anni.”A Padova Salvetti frequenta la facoltà di legge, ma non raggiunse mai la laurea, ormai preso nella sua attività di organizzatore di spettacolini al Pedrocchi. Salvetti organizza infatti concorsi per voci canore. Nel 1952 attraverso amici di Padova che lo conoscevano, Nunzio Filogamo (leggendario presentatore del festival di Sanremo): “venne nella mia scuola, perché in quei tempi girava le scuole, facendo conferenze sulla canzone, oppure addirittura sulla fonetica, sulla dizione, degli incontri con gli allievi su come pronunciare l’italiano. Per noi fu una emozione, perché lui era il divo massimo. Io partecipai al suo spettacolo “Il microfono è vostro” come imitatore. Subito dopo organizzai un concorso di voci nuove al Pedrocchi. Feci io il manifesto: e non avevo ancora capito se mi piaceva organizzare gli spettacoli per fare l’organizzatore, per presentarli oppure per fare il manifesto dello spettacolo. Feci un manifesto bellissimo: lo disegnai perché avevo una grande passione per la grafica… feci un manifesto unico, che venne attaccato fuori dal Pedrocchi, molto bello, un manifesto enorme…” Il concorso per voci nuove organizzato da Salvetti al Caffè Pedrocchi si può considerare il progenitore del festival di Castrocaro (che nascerà di li a poco). Nel 1952 Salvetti è a Rimini è però Salvetti a presentare la finale di Miss Italia che presenta fino al 1954, oltre ad organizzare altri spettacoli al Bar Baracca e al Caffè Pedrocchi di Padova.
Nel 1955 Salvetti inizia a fare le stagioni estive, quindi esordisce in radio, alla Rai. Grazie all’esperienza di presentatore di tre edizioni di Miss Italia Salvetti entra in contatto con i locali e comprende che il suo mestiere sarà quello dell’organizzatore.
Sul finire degli anni ’50, inizio anni ’60 fa l’impresario ed è membro del Clan Celentano, E’ Vittorio Salvetti a lanciare Lucio Battisti venuto da Poggio Bustone a Milano per cercare fortuna: “voleva che gli presentassi Celentano, entrò nel Clan, iniziò la sua carriera”. Salvetti per la Rai diventa autore di testi per programmi televisivi, pensa a un certo punto a fare l’attore, ma la televisione gli offre una ribalta da presentatore, prima passo di una carriera che dal palco si sarebbe trasferita presto dietro le quinte.Nel 1964 idea il Festivalbar, la longeva manifestazione canora che ha contribuito a lanciare molti personaggi della musica
leggera italiana. Inventa il Festivalbar sfruttando con genialità il momento magico del juke-box, quando esso era l’unico mezzo che avevano i giovani per ascoltare le canzoni preferite, perché la Rai, unica emittente allora esistente, comandava ancora la commissione di ascolto che censurava Dio è morto perché blasfema, e Adriano Celentano perché stonato. Attraverso le gettonature dei juke-box, che proprio in quel periodo vivevano un momento di boom, si sarebbe dovuta decretare la canzone vincitrice. Così facendo Salvetti scavalcò il classico meccanismo delle giurie, realizzando la prima “giuria popolare” applicata alle competizioni canore. Per Salvetti ascoltare canzoni e mettere insieme un cast per le sue manifestazioni, no era mai un mestiere, ma un divertimento, e passava così intere giornate a ricevere, ad ascoltare e soprattutto a parlare, mentre il pranzo diventava senza intervallo cena, e il wisky scorreva abbondante, anche se diluito come un alibi con la Coca Cola. E non si dimenticava mai gli amici, altra dote diventata con il tempo rara, diceva infatti spesso ai suoi collaboratori, Pippo Abbà e Renata Meroni, che quel cantante bisognava pure inserirlo nell’elenco del Festivalbar, anche se non lo convinceva completamente, perché non si poteva lasciare fuori quel discografico che quell’anno non aveva niente di meglio da proporre.
Scorriamo l’albo d’oro del Festivalbar, alcune canzoni, alcuni vincitori per renderci conto del fiuto di Salvetti, Bobby Solo, Petula Clarck, Caterina Caselli, Little Tony, Lucio Battisti, Rocky Roberts, Adamo, Mia Martini, Marcella, Claudio Baglioni, Drupi, Gianni Bella, Umberto Tozzi, Alunni del Sole, Alan Sorrenti, Miguel Bosè, Rettore, Vasco Rossi, Gianna Nannini, Righeira, Eros Ramazzotti, Spagna, Scialpi, Raf, Francesco Baccini e i Ladri di Biciclette, Gino Paoli. Luca Carboni, 883, Ricky Martin.“Nel 1970 – ricordava Salvetti – dovetti cambiare regolamento perché altrimenti vinceva sempre Lucio Battisti”. Ma il concorrente oggi più famoso Salvetti lo ebbe nel 1956, al concorso per voci nuove da lui organizzato al caffè Pedrocchi, tale Silvio Glori da Milano, nome d’arte di Silvio Berlusconi. “Ho ritrovato il documento di iscrizione – ricordava Salvetti nel corso della più volte citata intervista ad Alajmo – Berlusconi Silvio da Milano: cantava un pezzo di Charles Trenet con la paglietta in testa. Io me ne ero dimenticato. Fu proprio Berlusconi a ricordarmelo, quando mi fu fatta l’offerta di trasferire il Festivalbar da Rai2 a Canale5. Dicevano che lui affermava di essere amico mio, ma io pensavo: per me ‘sto Berlusconi, si, mi sembra di averlo conosciuto, ma così, può darsi. E quando sono arrivato da lui ero anche un po’ intimidito, perché era Berlusconi, e sapevo che mi doveva proporre una cosa grossa. Insomma, vado da lui, che appena mi vede dice: “ciao, ti ricordi di me? Permettimi di darti del tu perché io sono quel Berlusconi Silvio da Milano, che tu hai detto: no, da Arcore. Avevo quella Giulietta color aragosta che ti stava tanto sulle scatole, e poi ho cantato con il nome di Silvio Glori. E poi aggiunge: avevo i capelli… E allora ho ricordato tutto. Perché lui venne a cantare al Pedrocchi e rimanemmo tutta una notte fuori dal locale con lui che mi rodeva perché possedeva una delle famose Giuliette color aragosta che a Padova avevano solo i riccastri. Venne accompagnato dall’autista, perché il padre aveva già i soldi. A que
sto concorso di voci nuove i concorrenti erano 32: Berlusconi arrivo trentunesimo. In verità a me sembrava che fosse arrivato ultimo, ma lui disse ridendo: “Penultimo! Ricordati Vittorio che io non arrivo mai ultimo!”. Quando io lavoravo al Savioli di Milano, lui si esibiva – ma nelle balere di seconda categoria- come Silvio Glori e imitava Chevalier con la paglietta. Aveva un gruppo. La sua orchestrina, pianoforte, batteria, chitarra. Era composta da Fedele Confalonieri, Carlo Bernasconi e Adriano Galliani. Erano tutti molto giovani e si divertivano: ma trovo bello riscoprire come siano rimasti uniti anche dopo, nel mondo della finanza. Man mano che Berlusconi parlava, io lo vedevo con i capelli, un po’ più magro, un po’ più giovane, con il cappello. Arrivava con ‘sta macchina rombante e aveva sempre le chiavi in mano: per me uno che non ha la patente eppure tiene sempre in mano le chiavi della macchina è una cosa che ti fa girare le scatole. Lui viene, canta e arriva – lui sostiene – penultimo (per me ultimo)! Insomma, noi ragazzi eravamo anche un po’ contenti. Però quella sera al Pedrocchi – facciamo conto che io avessi vent’anni – lui disse: “Senti, possiamo parlare un attimo?”. Di solito si passava la nottata con due o tre amici, compagni di scuola, come se ne facevano tanti: e soprattutto in questa occasione, al Pedrocchi, d’estate, dopo la grande festa, mi avevano dato la paga e allora avevo offerto io. I camerieri chiudevano il locale e mi lasciavano fuori in piazzetta con birra e Coca-Cola: e si faceva notte. Quella sera si fermò questo ragazzo e si parlò. E a un certo punto mi ricordo che parlava dell’America. Noi lo prendevamo un po’ per i fondelli, perché, figurarsi, parlare di America quando io, per esempio, dovevo farmela a piedi fino a Sant’Osvaldo – quattro chilometri – perché non c’era la filovia, né taxi di notte e noi non avevamo neanche un pezzo di macchina… Quella sera mi accompagnò lui. Con l’autista che, poveraccio, stava dormendo e lui lo aveva anche trattato male. Prima però andammo a mangiare un piatto di spaghetti alla Trattoria Ragazzo: che apriva alle 6 di mattina perché lì vicino c’era un mercato del pesce di Voltabarozzo e faceva quindi le tagliatelle per i camionisti e i pescatori che venivano da Chioggia a Voltabarozzo a portare il pesce. E parlammo tutta la notte dell’America. E lui parlava già allora di televisione, di informatica, che io non sapevo cosa fosse, e c’era simpatico, perché poi alla fine avevano capito che avrebbe offerto lui da bere e mangiare. E rompeva un po’ perché parlava di cose che… insomma, io facevo il ragioniere appena appena, e gli altri amici erano Giorgio Mondin, quello della distilleria, poi c’era un altro che si chiamava Catone Biasioli, che voleva fare il presentatore. Poi c’era un certo Mario Silvan, che era il fratello del parroco di Cristo Re, don Romeo Silvan. Eravamo in quattro-cinque. E questo ci parlava dell’America, che il suo sogno era l’America, e pensa se in America si potesse fare… E parlava di quello che sarebbe stata la televisione del futuro, a colori, più di trent’anni fa.
L’informatica, il computer. E noi dicevamo: “Ma va…” e raccontavamo la barzelletta di quel tipo che con un solo colpo di fucile aveva ucciso due uccelli, e l’altro allora diceva di aver pescato un’anguilla di quattro metri, e ancora il primo gli rispondeva: “Senti, o tu accorci l’anguilla o io con un colpo solo faccio una strage…”.
Vittorio Salvetti oltre ad essere stato l’ideatore, l’organizzatore e il presentatore del Festivalbar, ha legato il suo nome ad altre manifestazioni canore come il Cantagiro, il Disco Neve, il Disco Verde, il Festival di Sanremo e come Azzurro, manifestazione canora di successo degli anni ’80 che andava in onda dal Teatro Petruzzelli di Bari. Affabile, bonario, un signore d’altri tempi, lo vedevo passeggiare, solitamente nel mese di settembre, ultimate le fatiche del suo Festivalbar, nel centro di Milano.
Negli anni ’70 Salvetti fu anche uno degli organizzatori del Festival di Sanremo: dapprima con Ezio Radaelli ed Elio Gigante, poi da solo, rilanciando la rassegna. Fu Salvetti infatti ad organizzare da solo le edizioni sanremesi del 1976, 1977 e 1978. “Per un organizzatore Sanremo è la laurea – ricordava – ecco perché amo Sanremo, anche se al Festival, io, ho davvero molto sofferto. La metà degli anni ’70 era un periodo difficile, e non solo per le canzonette, con il Paese in crisi politica, morale, culturale e la “rivoluzione” giovane che ovviamente rifiutava il Festival. La Rai, adeguandosi ai tempi, ridusse drasticamente lo spazio: una solo serata in tv, e pure “sfumata” alle 22,30 per il tg… Conseguente disinteresse della grande discografia, organizzazione diretta da parte del Comune, calo di livello, infausta edizione 1975 (La ragazza del sud)… Presi in mano il festival nel 1976: era una manifestazione disastrata… Io, checchè se ne dica, a poco a poco, in tre edizioni, faticosamente ma con grande impegno e tenacia, lo ricostruii, letteralmente, pezzo per pezzo. In quegli anni il mio Festivalbar andava fortissimo, era più appetito di Sanremo da grandi etichette e star internazionali, e, può sembrare assurdo ed è sacrosanto, il Festivalbar “aiutò” Sanremo. Dovevo promettere l’Arena di Verona per avere all’Ariston, che so, Barry White o Julio Iglesias, Donna Summer o Suzy Quatro, Grace Jones, Shela, Gloria Gaynor e via dicendo, le vedettes mondiali dell’epoca che ridiedero credito alla manifestazione, la quale acquisì un volto nuovo, giovane e fresco anche per la produzione italiana. Ed ecco l’edizione 1978, quella che ricordo con più affetto: una gara di rivelazioni fantastiche: gli eccellenti Matia Bazar, una colorata punk nostrana di grande talento come Anna Oxa al suo debutto assoluto, e l’ironia intelligente di Rino Gaetano”
Ma indubbiamente Salvetti sarà ricordato per il Festivalbar, la sua più grande invenzione: dopo l’esordio in quel di Verona la finale si svolse sull’altopiano di Asiago (ad eccezione dell’edizione 1965 svoltasi a Salice Terme e di quella dell’anno successivo a Milano), tornò all’Arena nel 1975. Conosciuto come “il patron del Festivalbar”, tale manifestazione fu certamente l’evento di cui il presentatore-impresario di spettacolo era più orgoglioso. Salvetti aveva, unito al grande amore per il suo lavoro, l’istinto naturale di riconoscere quasi sempre un potenziale successo, e al suo intuito devono essere grati molti artisti che sono diventati famosi. Fra le hits del Festivalbar Fiori rosa fiori di pesco, Acqua azzurra acqua chiara, Stasera mi butto, Piccolo uomo, E tu, Non si può morire dentro, Ti amo, Tu sei l’unica donna per me, Donatella, Bollicine, Fotoromanza, L’estate sta finendo, Nuovi eroi, Ti pretendo, Sotto questo sole, Quattro amici.Salvetti fu il presentatore del Festivalbar fino al termine degli anni ’70, poi affidò la conduzione a Claudio Cecchetto, Federica Panicucci, Amadeus e ad altri: “capii di essere diventato troppo vecchio per una gara destinata ai giovani”. Sul palco, però, Salvetti c’era sempre, per premiare i vincitori. Anche nell’agosto 1998, in occasione della XXXV edizione, Vittorio Salvetti, ormai già ammalato, consegnò i premi a Vasco Rossi, Nek, Pino Daniele e Renato Zero, intrattenne gli ospiti, fece gli onori di casa. Vittorio Salvetti morì a Padova il 19 ottobre 1998, circa un mese prima se ne era andato anche Lucio Battisti, segno dei tempi che stavano cambiando.
Con la morte di Salvetti (e di Battisti) si chiuse un grande periodo storico della discografia italiana, caratterizzato da grandi personaggi carismatici e per certi versi romantici, un anello di passaggio fra gli antichi mecenati e i moderni imprenditori, che partecipavano con grande passione e totale coinvolgimento alla loro attività. Pensiamo a Ladislao Sugar, ad esempio, che entrava negli uffici della sua società quando c’erano gli autori che componevamo musica al pianoforte, e stava ad ascoltarli, a consigliarli, a commuoversi per una frase melodica particolarmente riuscita. Pensiamo a Elio Gigante, ad Ezio Redaelli, a Gianni Ravera, tutti questi personaggi sapevano essere creativi, senza calcoli da ragioniere. Personaggi che ascoltavano con le cuffie i provini che gli sottoponevano i discografici per andare a Sanremo con la stessa golosità che mostra un bambino quando gli si offre una grossa pasta con la crema, e quasi sempre riuscivano ad intuire il potenziale successo di una canzone e di un cantate.
Un’epoca si chiuse, un silenzio composto da aridi e grigi dirigenti della Rai e di Mediaset, che si improvvisano organizzatori di manifestazioni canore, ma che pensano soprattutto all’audience e allo stipendio di fine mese, che magari sono anche astemi e non ascoltano mai musica perché non gliene frega niente. Oggi i discografici sono alle prese senza allegria con bilanci e previsioni a cinque anni, conoscono di redditività, discutono di contratti e di royalties minime e garantite. Ma quando attraversi i lunghissimi corridoi per arrivare ai loro enormi uffici, non ti capita mai di ascoltare una musica, come se la loro società facesse tondini di ferro o scatolette di carne.
Vittorio Salvetti sarà in Paradiso ad organizzare il Festivalbar, manifestazione che continua comunque con successo grazie a suo figlio Andrea, che vi aveva esordito, emozionatissimo, per presentare i Righeira, nell’ormai lontana estate 1986.
