Marco Mignani nacque a Milano il 14 ottobre 1944, dopo studi umanistici alla fine degli anni ’60 entrò nel settore pubblicitario come copywriter alla Publinter Ayer, dal 1968 al 1973 Mignani lavora come capogruppo e direttore creativo presso l’agenzia Leo Burnett, prima, e Doyle Dane Bernbach, poi, due importantissime agenzie americane. Nel 1974 Mignani venne chiamato dalla Tbwa come capogruppo, direttore creativo e partner Nel 1982 è direttore generale e creativo della Dacy Mac-Manus & Masius. Nel 1983 Mignani diede vita alla Euro RSCG Mezzano Costantini & Mignani, con sede in via Dante, nel centro di Milano, che di li a poco divenne l’ottava agenzia del mercato italiano, associata al gruppo Habas Adevertising, il maggior network europeo di pubblicità. Nella seconda metà degli anni ’80 Milano, oltre alla campagna pubblicitaria per la Ramazzotti, Mignani creerà altre campagne che entreranno nella storia della pubblicità italiana come Scottex (dieci piani di morbidezza), Beltè (più buono proprio non ce n’è), Dixan (niente lava meglio), Slip Eminence (oh oh Eminence?) con i disegni di Milo Manara, Valda (italiani state bene, con Paolo Hendel), Tonno Palmera (il pappagallo ladruncolo), Cioccolato Lindor (il cioccolato che si scioglie in bocca), Fonzies (se non ti lecchi le dita godi solo a metà), Acqua vera acqua pura, Burgy, e il più famoso, la Milano da bere per l’amaro Ramazzotti.
Nella seconda metà degli anni ’80 e nella prima metà degli anni ’90 Mignani continua a lavorare nel mondo della comunicazione politica firmando le campagne della Dc, per le politiche del 1987 (Forza Italia) e del Pri per le politiche del 1992 (La sfida dell’Italia civile) e lo spot per il SI al referendum tv del 1995 (vota SI l’Italia che vuole più). Nel 1988 venne nominato Presidente dell’Adci, Associazione dei Creativi della Comunicazione. Ho conosciuto Marco Mignani nel pieno degli anni ’80, a presentarmelo fu Paolo Pillitteri, allora sindaco di Milano, Marco lavorava come professionista per altri partiti, ma aveva un grande senso dell’amicizia. Ritrovai Marco qualche anno dopo coinvolto nel programma MUSICA E’ ideato e condotto dall’amico Maurizio Seymandi, il programma andava in onda il sabato su Italia1, era una sorta di appendice di SUPERCLASSIFICA SHOW, nell’ambito di MUSICA E’ venivano presentati gli spot pubblicitari e Marco ci dava una mano. Negli anni ’90, quelli del giustizialismo, quelli del terrore giacobino, del “nuovo che avanza”. Come molti altri che avevano vissuto la “Milano da bere” mi ero ritirato nello studio. All’inizio del nuovo millennio, passeggiando in via Dante, incontrai casualmente Marco, prendemmo un caffè e, come Enzo Tortora, mi disse: “allora, dove eravamo rimasti?”. Gli raccontati che avevo ripreso a scrivere, che mi ero sposato, lui mi disse con gioia di essere diventato per la terza volta padre a cinquant’anni passati. Poi gli dissi che avevo ripreso a collaborare con Paolo e Maurizio, che stavamo scrivendo e realizzando un progetto rievocativo degli anni ’80. In cuor mio speravo che i corsi e ricorsi storici avessero effetto: dopo il boom degli anni ’80, dopo la crisi degli anni ’90, il nuovo millennio potrebbe essere di un nuovo boom. Con Marco ricordammo alcuni amici che ci avevano lasciato, che facevano parte di un organo simbolico del partito, che Rino Formica definì ironicamente “assemblea di nani e ballerine”, nè io nè Marco, nonostante quanto insinuassero le malelingue, ne abbiamo fatto parte. Eppure non sarebbe stato un disonore visto che in quell’assemblea c’era Vittorio Gassmann, Federico Fellini, Sandra Milo, Umberto Veronesi, Marisa Belisario, Francesco Alberoni, Dino Risi, tanto per citarne qualcuno. Marco si mise a ridere quando dissi che invece con gli anni ’90 nani e ballerine di spessore modestissimo non erano più in un organo consultivo, ma nelle istituzioni con i traditori. Con il nuovo millennio i rapporti con Marco tornarono ad essere più intensi. Dopo un’intervista nei miei RITRATTI MILANESI ci incontravamo sia per il piacere di vederci che per realizzare progetti comuni. Marco iniziò a stare male, gli diagnosticarono un tumore al colon, ma nonostante la malattia trovò la forza e il dinamismo di ripartire da zero, il male fu la causa dell’allontanamento dall’agenzia che aveva creato. Nel 2004 Mignani ripartì da zero aprendo una nuova agenzia, la Mpg, Mignani, Pinter, Galbiati srl con sede in in via Malpighi a Milano, suoi soci il copywriter Antonio Pinter e l’art director Mauro Galbiati. Non potendo lavorare in Italia (i tempi erano cambiati) riprese a lavorare con paesi stranieri, soprattutto con l’Ucraina, con la Repubblica Ceca e con altri paesi dell’Est Europa. Il male gli aveva minato il fisico ma non lo spirito e si gettò in una nuova esperienza professionale, quella del docente. Mignani iniziò a collaborare con Nettuno, accettò di fare il professore a contratto di teorie e tecniche della comunicazione pubblicitaria alla Facoltà di Scienze della Comunicazione dell”Università La Sapienza di Roma. Lui grande creativo, maestro dal quale avevo imparato molto, aveva ancor prima di cominciare un grande desiderio di trasmettere, oltre alla maestria nel comunicare, nonostante questo un giorno mi chiamò per chiedermi un consiglio: “senti, io non ho mai insegnato, dammi un consiglio su come insegnare?”, io gli risposi in maniera laconica ma lui capì subito: “per essere un buon professore devi essere te stesso, devi spiegare tutto quello che sai senza mai fare il professore”.
Marco Mignani si impegnò inoltre nel volontariato e nel sociale ideando gratuitamente le campagne pubblicitarie di Telefono Azzurro e Vidas, l’onluss che si occupa dei malati soli e terminali. Marco Mignani si è spento all’ospedale San Raffaele di Milano il 31 marzo 2008, i suoi funerali si sono svolti presso la S.S.Redentore in via Palestrina 5 a Milano. Leggendo alcuni necrologi apparsi sui CORRIERE DELLA SERA per l’ennesima volta mi è venuta in mente una frase di Prezzolini: “gli uomini sono buoni con i morti così come sono cattivi con i vivi”, Marco infatti era commemorato non solo da famigliari e dagli amici, ma anche da coloro che lo avevano abbandonato nel momento del bisogno. Marco Mignani è stato indubbiamente uno dei più grandi pubblicitari italiani del XX secolo, senz’altro il più grande del dopoguerra.
MASSIMO EMANUELLI SALUTA MARCO MIGNANI, GRANDE PUBBLICITARIO,
GRANDE CREATIVO, GRANDE AMICO.
http://www.youtube.com/watch?v=2m8jnLuMEYA
Intervista concessa da Marco Mignani a Massimo Emanuelli ne I RITRATTI MILANESI DI MASSIMO EMANUELLI in L’OPINONE DELLE LIBERTA’ 3/3/2001 poi riportata anche nel libro di Massimo Emanuelli ACCADDE A MILANO: NOTIZIE, PERSONAGGI E SINDACI DAL DOPOGUERRA AD OGGI 1945-2002, Greco & Greco, Milano, 2002,
http://www.grecoegrecoeditori.it
Marco Mignani, milanese di nascita, classe 1944, hai imparato il mestiere in America e l’hai portato in Italia, cioè a Milano perchè Milano-Italia, come il titolo di una trasmissione televisiva, nel bene o nel male ciò che accadde a Milano anticipa sempre l’Italia scriveva già all’inizio del XX secolo Gaetano Salvemini, sei stato uno dei protagonisti degli anni ’80, come era la Milano degli anni ’80? Quelli della “Milano da bere”?
“Milano è stata la città che come nessun altra ha espresso lo spirito degli anni ’80: in quegli anni la città aveva assommato come mai dal dopoguerra una serie di positività straordinarie. Fui incaricato dalla Ramazzotti di creare uno slogan per il famoso amaro che non è soltanto buono da bere, ma che ha anche una bella bottiglia da guardare. TV SORRISI E CANZONI, allora diretto dal tuo amico Gigi Vesigna, qualche settimana prima aveva fatto un’indagine sulla città italiane. Alla domanda: “quale è la città italiana più bella?”, “in quale città italiana vorresti vivere?”, la maggioranza degli intervistati aveva risposto Milano. La città, quindi, era in testa ai sogni degli italiani, come una piccola ed efficiente New York italiana, Milano era contaminata da un grande clima di euforia. La mia azienda aveva aperto da poco, avevamo pochi dipendenti, ma eravamo in espansione, ogni giorno arrivavano curriculum e telefonate dal Sud, da gente che si dichiarava pronta a venire a Milano con la valigia di cartone per lavorare nel campo della comunicazione e della pubblicità. La città dava segni evidenti di questo dinamismo, c’era il buco della linea 3 della Metropolitana che era visibile a tutti, si guardava dalle trincee la nuova Metropolitana costruita (a differenza delle altre che erano sotterranee) a cielo aperto, con macchine meravigliose che scassavano e scavavano, girando per la città si vedevano gli operai con l’elmetto giallo. Lo slogan “la linea 3 avanza” esprimeva una promessa che alla fine si realizzò: i milanesi ultimata la linea 3 videro che alle parole erano seguiti i fatti, che la speranza era diventata realtà. Lo slogan “la linea 3 avanza” si sposava benissimo con la “Milano da bere”. Appena la Ramazzotti mi affidò l’incarico pensai subito ad uno slogan che doveva esprimere una sensazione di grandezza, grande come la Ramazzotti e grande come Milano, la città grande di un amaro grande. Pensai al sondaggio di SORRISI,pensai che lo slogan doveva esprimere la voglia che gli italiani avevano di Milano, la voglia di fare e di uscire dei milanesi. Milano era da godere, da gustarsi in ogni momento, da bere insomma, come l’amaro Ramazzotti. Milano nel corso degli anni ’80 fu anche contrassegnata dall’esplosione degli stilisti con il loro modo piacevole di vivere, fatto di belle donne e di uomini simpatici, a traino degli stilisti si era creato un mondo piacevole. Milano era anche la capitale della comunicazione, delle tv e delle radio private, del terziario. Tutto questo era capitato a Milano dopo gli anni del terrorismo, delle saracinesche chiuse. Finito il periodo del terrorismo Milano si riaprì, la gente riprese ad uscire per le strade, nelle piazze, i locali alzavano le saracinesche, sorsero nuovi esercizi commerciali. Era anche la Milano by night, dove moltissimi ristoranti lavoravano con candele sul tavole e belle tovaglie. Ricordo le birrerie, i ristoranti, gli altri locali di ritrovo, tutti con l’illuminazione giusta, anche la Milano by night esprimeva la gioia di vivere. Per fare un esempio posso citare i locali di via Solferino, di via Rovello, a Brera, sui Navigli, c’era un piatto che era un pò il simbolo di questa gioia di vivere, ed era il carpaccio con la rucola.
Il tuo slogan MILANO DA BERE è diventato un’icona, citato da sociologi e storici per definire il periodo dell’edonismo raganiano, ma, sempre negli anni ’80 inventi Forza Italia…
“Precisiamo a coloro che hanno la memoria corta, e a coloro che non vissero gli anni ’80, che Berlusconi allora faceva l’imprenditore televisivo. Io creai quello slogan per la Democrazia Cristiana in occasione della campagna elettorale delle politiche del 1987. Fu un’enorme campagna elettorale, l’ufficio stampa e propaganda della DC chiamò la mia agenzia e gli commissionò la campagna elettorale alla quale contribuirono il musicista Ennio Morricone e lo scenografo Gianni Quaranta, vincitore del premio Oscar con il film CAMERA CON VISTA. Pochi giorni dopo comparve sui teleschermi degli italiani un spot di trenta secondi di mamme, papà, scolari, nonni e nipotini, accompagnato da un coro di voci bianche che cantava: “Per un sorriso, per la libertà, per un grande sogno d’amore, per l’avvenire, per una vita di serenità, per la tua casa e il lavoro e il futuro dei tuoi figli: forza Italia, forza Italia, forza Italia” Con gli anni’80 cambiò l’atteggiamento dei politici nei confronti della pubblicità, i politici iniziarono ad accorgersi del marketing e della comunicazione, cambiò pertanto il modo di fare le campagne elettorali. A campagna elettorale ultimata intervistato da un giornalista della rivista COMUNICARE sull’origine dello slogan FORZA ITALIA dichiarai: “La DC non era una star, era Ava e non Dash, anche se aveva i granelli blu di Andreotti, il pulito di De Mita, il perborato attivo di Donat Cattin, il ‘ti fa risparmiare di Andreatta”. La strategia e gli obiettivi perseguiti dalla DC con quello spot furono così illustrati da Silvia Costa, responsabile della comunicazione di quel partito, intervistata da PANORAMA: “ci siamo proposti di recuperare il gap tra il mondo politico e la gente, di ridare immagine ai valori della gente comune, del piccolino, del quotidiano. Al made in Italy opponiamo la piccola Italia. Piccola non per censo o idee, ma per modo di vivere” Inventai per la DC lo slogan FORZA ITALIA, poichè tale partito voleva impostare la campagna elettorale esprimendo le buone virtù della famiglia, delle cose che contavano, una campagna alla quale si richiama oggi Berlusconi, non solo nello slogan, diventato il nome del suo partito, ma anche nel contenuto rassicurante e nell’immagine dello stesso Berlusconi ritratto con la gente. La DC nel 1987 usò lo spot FORZA ITALIA anche in occasione delle tribune autogestite, memorabile rimane quella del 15 maggio 1987. Per quella trasmissione la DC coinvolse alcune delle personalità che avevano deciso di candidarsi per il partito. Introdotti da Silvia Costa, sfilarono così uno dopo l’altro, accompagnati da un breve filmato di presentazione, il generale Luigi Poli, l’ex membro del consiglio Superiore della Magistratura Ombretta Fumagalli Carulli, il pittore Remo Brindisi, la presentatrice della Rai Rosanna Vaudetti, l’ex calciatore Gianni Rivera, e il giornalista sportivo Paolo Valenti. Dopo lo spot FORZA ITALIA con cui si aprì la trasmissione toccò a Paolo Valenti spiegare i motivi della sua candidatura: “Noi – disse il conduttore di NOVANTESIMO MINUTO – dobbiamo portare il nostro stile per cercare di ottenere le vittorie che più contano. Cioè impegnarci al massimo, raggiungere la forma, ma serenamente. Dopo tante parole ho deciso così di scendere in campo”. La chiusura spettò invece a Gianni Rivera, introdotto dalle immagini dell’incontro Italia-Germania di Città del Messico, e del suo indimenticabile goal del 4 a 3. E mentre i telespettatori avevano ancora negli occhi il suo abbraccio con Gigi Riva, partì la canzone della campagna: “Forza Italia, forza Italia, forza Italia”. E’ superfluo quindi ripetere che il nome, lo slogan, e alcuni tratti caratterizzanti il movimento politico che Silvio Berlusconi fonderà nel 1994 erano già presenti in questa tribuna.
Alle elezioni politiche del 1992 venni incaricato da Giorgio Lamalfa di occuparmi della campagna elettorale nazionale del PRI, coniai lo slogan LA SFIDA DELL’ITALIA CIVILE.Altre compagne elettorali all’americana che ricordo furono quelle dei socialisti, fatte con l’immagine e con il piglio di Craxi, campagne che esprimevano la voglia di un’Italia nuova, più aggressiva, più forte, più nuova, un pò più in attacco e un pò meno in difesa”.
Sempre negli anni ’80 il settimanale inglese TIME dedicò la sua copertina a Milano, definita “la città che corre”, il capoluogo lombardo risultava essere la città più ricca d’Italia. Marco però tutto è cambiato con l’inizio degli anni ’90.
“La Milano dell’ottimismo, del dinamismo, del lavoro e della produttività, la Milano della moda, la Milano notturna, la “Milano da bere” vennne demonizzata. La Milano da bere all’inizio degli anni ’90 era diventata una Milano da digerire, oppure una “Milano da pere” come scrissero su alcuni muri cittadini, era la città del demonio, dei drogati, delle pere, dell’eroina. Io stesso venni demonizzato per avere coniato lo slogan, ricordo un’intervista fattami da Lamberto Sposini che, quasi con il dito puntato, mi indicava come l’autore della “Milano da bere”, mi trovai nell’imbarazzante situazione di dovermi discolpare dall’aver coniato quello slogan che solo qualche anno prima stava a significare la Milano degli affari, ora esprimeva la Milano del malaffare. Tutto si arrrestò negli anni fra il 1992 e il 1995, Tangentopoli, ma furono anche gli anni della cura dimagrante degli italiani, gli anni dei governi Amato e Ciampi, caratterizzati da una fortissima pressione fiscale, i portafogli ne soffrirono, i consumi soffrirono, come soffrono ancora oggi. La gente non aveva più soldi, la tredicesima serviva per rimettersi in sesto dai danni subiti nel corso dell’anno. Il settore pubblicitario, però, a differenza di altri, avvertì meno la crisi, l’unico effetto della crisi nel campo pubblicitario fu la nascita della concentrazione delle agenzie. Oggi le grandi multinazionali pubblicitarie sono 4 o 5 in tutto il mondo, i clienti però pagano sempre meno e pretendono sempre di più. Tornando alla “Milano da bere” prima mia fortuna, e successivamente mia sfortuna, credo che oggi si possano valutare con maggiore obiettività quello slogan e tutto il decennio. Oggi possiamo dire senza ombra di dubbio che il mio slogan, nel bene o nel male, è legato a quel decennio. Credo che ciò sia un grande successo, non vedo quale sorte migliore possa capitare ad un pubblicitario e ad una marca se non legare il proprio slogan ad un decennio, addirittura in maniera emblematica. Col passare del tempo mi sono accorto che lo slogan MILANO DA BERE ha reclamizzato in tutto il paese più che l’amaro Ramazzotti lo spirito degli anni ’80. Se nel corso degli anni ’80 l’aver coniato lo slogan era un merito, se negli anni ’90 era diventata una colpa, oggi che gli anni ’80 sono visti con maggiore obiettività ed in un certo senso rivalutati, oggi che Milano sta diventando “da ribere”, lo slogan sta riacquistando una valenza positiva. Sicuramente devo molto di più io alla MILANO DA BERE di quanto Ramazzotti deve a me, mi sento in debito nei confronti di Milano che mi ha dato la possibilità di poter emergere nel campo dela pubblicità, di poter aprire una mia agenzia, di effettuare grandi campagne pubblicitarie per prestigiosissime aziende. L’aver creato quello slogan mi ha dato tanta notorietà e tanta soddisfazione, l’ultima delle quali è quella di essere intervistato da te, caro Massimo.