Enrico Ruggeri
DALLA MUSICA ALLA TV
(L’Opinione delle Libertà, 12/5/2005)
Enrico Ruggeri esordisce in tv come cantante dapprima coi Decibel al Festival di Sanremo edizione 1980, quindi compare a Pop Corn, Chewing gum, Superclassifica show, ed altre trasmissioni musicali di Telemilano58, poi Canale5. Il 5 dicembre 2005, pur senza rinnegare la musica, il suo primo amore, Ruggeri ha esordito come conduttore de Il bivio… cosa sarebbe successo se… su Italia1.
Enrico Ruggeri è nato a Milano il 5 giugno 1957: “I miei genitori mi iscrissero alle elementari quando avevo cinque anni, perché sapevo già leggere e in casa mi annoiavo. Apprendevo tutto molto in fretta e per qualche anno rischiai di diventare un vero bambino prodigio. Mio padre mi insegnava l’inglese e i numeri relativi, leggevo Dante e l’Iliade. Così una mattina sbagliai apposta tutto un compito in classe di aritmetica: volevo provare la sensazione di quelli che non ce la facevano. Da quel giorno mi ha accompagnato per tutta la vita un senso di solidarietà con i perdenti, gli umiliati, le minoranze, le diversità. E ogni volta che mi è capitato di appartenere a una di queste categorie ho sempre provato un grande senso di orgoglio.
Ho sempre avuto eroi negativi o eroi sconfitti, da Ettore in avanti, e ho sempre diffidato delle maggioranze e del clamore che circonda i trionfatori. E quando mi è capitato di vincere qualcosa ho sempre vestito i miei successi con tutto il pudore di cui disponevo. Non sono soltanto figlio unico, sono anche nipote unico, perché non ho primi cugini. Credo che i figli unici sviluppino un particolare allenamento alla fantasia: non avendo compagni di giochi sono portati a dare corpo, anima e parola a tutto quello che hanno vicino. Io, per esempio, ho passato tutta la mia infanzia parlando da solo, organizzando interminabili pantomime con pupazzi, soldatini, automobili, suppellettili. Stavo scoprendo il grande fascino della parola, della dialettica, e anche della polemica. Questa caratteristica non mi ha mai abbandonato: rimango un conversatore pregevole, un ascoltatore attento (anche dei silenzi) e un amante della discussione, se è leale e stimolante. E sono grato a tutti i fratelli e cugini creati dalla mia immaginazione. Non mi ricordo il momento preciso in cui ebbi la prima “folgorazione” musicale: però ho stampato nella memoria il mio primo mangiadischi, con i pochi dischi che mi regalarono un Natale (allora credevo me l’avesse portato Gesù Bambino): una dozzina di canzoni in tutto, che ascoltavo per ore, in piedi al centro del salotto con un manico di scopa a mo’ di asta di microfono, gli occhi socchiusi e l’illusione di avere davanti il pubblico. Ero già consapevole che stavo assaporando, anche se solo in sogno, la sensazione più forte che esista in natura, intensa e dolorosa, lacerante e frastornante. Ho avuto la fortuna di trasformare il gioco in realtà, e oggi vivo con il timore di non essere mai completamente naturale nella mia vita: quando parlo o mi muovo non mi sento mai del tutto a mio agio, non sono mai al massimo, non sono mai a fuoco”.
Enrico che mestiere che lavoro facevano i tuoi genitori?
“Sono figlio di due nobili decaduti che hanno reagito al precipitare nella scala sociale all’opposto, mia madre si reiventò concertista e maestra, mio padre invece contemplava il tramonto. Papà si è dedicato con metodo e costanza a dilapidare un patrimonio accumulato da chissà quante generazioni. Non ha mai lavorato. Ogni volta che gli servivano dei soldi, svendeva qualcosa. Ha continuato così fino a quando non ci è rimasto più quasi nulla. Col senno di poi, non posso che ringraziarlo: mi ha trasmesso l’aristocratico disprezzo per il denaro tipico dei ricchi, più la collera e la determinazione tipiche dei poveri”.”
Ultimate le scuole medie Enrico frequenta il liceo classico: “La mia adolescenza è stata dolorosa almeno quanto fu felice la mia infanzia. Ero troppo timido e decisamente goffo: non mi piacevo, e di conseguenza non interessavo agli altri. Erano gli anni del post sessantotto, nel mio liceo imperava la legge dell’arroganza; una ventina tra i figli dell’alta borghesia milanese, tutti dell’ultrasinistra, tenevano in pugno tutta la scuola: essere comunisti era praticamente obbligatorio. Quelli che non lo erano tacevano, quelli che si ribellavano erano come minimo isolati, quando non accadeva di peggio. I professori erano allineati ai tempi, e parteggiavano sfacciatamente per quelli che ‘facevano politica’. Ancora una volta mi avrebbe salvato la musica, mi avrebbe dato quell’identità che non riuscivo a crearmi. Tendevo a differenziarmi già nei gusti, visto che ostentavo il mio amore per quello che si definiva “rock decadente”, caratterizzato da iconografie ed atteggiamenti fuori linea: cercavo di vestirmi bene, avevo i capelli cortissimi e gli occhiali scuri. Di positivo c’era il fatto che la scuola era occupata o in “sciopero” almeno due giorni alla settimana: si scappava ad ascoltare musica, o in qualche cantina a cercare di imparare i pezzi che avevamo sentito. Ogni mese si cambiava band, si litigava e si faceva la pace in continuazione, perché le scelte “artistiche” cambiavano più in fretta delle nostre attitudini. Naturalmente in casa mia cominciavano a non capire nulla. Non ho molti ricordi d’infanzia legati alla televisione, perché mio padre non voleva che la vedessi: non ne acquistò mai una. Credo che questa sua decisione abbia inciso profondamente, nel bene e nel male, sulla mia formazione. Leggevo molto, divoravo anche i quotidiani, ma ero costretto anche in questo frangente a fare appello alla mia fantasia. La televisione la vedevo dalle zie: erano i tempi in cui lo slogan era “a letto dopo Carosello”. Uno dei personaggi che segnarono la mia sensibilità di bambino fu Kennedy; lo trovavo bello, dinamico e rassicurante: il suo assassinio fu il mio primo trauma riferito agli eventi pubblici, al punto che mi misi a ritagliare tutto quello che trovavo su di lui, malgrado avessi solo sei anni. In quel 1963 morì anche Papa Giovanni: mi diedero il permesso di seguire i funerali da qualche zia. La morte di un Papa mi sembrava un evento terribile, arcano, ricco di mistero e sacralità, al punto che, durante la processione, mi aspettavo di vederlo alzarsi. Non mi meravigliai quando, mentre un brivido chi stupore percorreva il mondo, sembrò che si mettesse a sorridere. Quando assassinarono Kennedy, avevo sei anni. Fui scosso dalle immagini di quel proiettile che gli fece esplodere la testa. Ma erano cose lontane, come la maggior parte dei drammi del mondo. Poi, il 12 dicembre del 1969, scoppiò una bomba a Piazza Fontana, a un chilometro da casa mia. Morirono persone che incontravo nel tram, bambini che giocavano sotto il mio cortile. Improvvisamente, la storia irruppe nella vita della mia generazione e la cambiò per sempre.”
I tuoi primi ricordi musicali.
“Ogni mercoledì correvo in edicola a comprare “Ciao 2001″, una rivista che raccontava mondi lontanissimi dentro i quali aspiravo di vivere. Ognuno aveva il suo giornalista di riferimento. Il mio era Manuel Insolera. Mi fece scoprire Iggy Pop e i New York Dools, David Bowie e i Roxy Music, i Mott The Hoople e tutto il rock decadente.Era una musica che si contrapponeva agli ascolti obbligatori della Milano degli anni sessanta: il progressive, il cantautorato intellettualistico, tutte le formazioni comunisteggianti e poi gli Inti Illimani, il gruppo che dovevi amare per forza. Vigeva la dittatura culturale della sinistra extraparlamentare, non solo gli Intilli Imani, ma anche Stalin, Mao Tse-tung, le barbe lunghe, l’eskimo, le camice a quadri. Si professavano vicini al proletariato. Erano per la maggior parte figli dell’alta borghesia…. Nella Milano degli anni settanta, l’estrema sinistra era in cima all’establishment. Niente sfuggiva al controllo della sua dottrina, dal modo di parlare, a quello di essere. Se non osservavi i suoi comandamenti, venivi tagliato fuori. Una volta, cercarono di picchiarmi perché avevo i capelli corti e gli occhiali Ray Ban, un accessorio che ai loro occhi faceva di me un fascista. Mi salvai solo perché l’amico che era con me prese gli occhiali e mostrò loro che erano da vista.”
Nel 1973 Ruggeri fonda la sua prima band musicale, i Josafat, che debutta in concerto al Teatro San Fedele di Milano con un repertorio di classici del rock anni Sessanta. Ricordo il concerto milanese di Lou Reed dell’aprile 1974: salì sul palco dopo Angelo Branduardi, che scappò piangendo per gli insulti che si prese. Suonò ‘Sweet Jane’ e ‘Coney Islan Baby’, poi cominciò ad arrivargli addosso di tutto: sputi, urla, pietre, buste d’acqua. Era vestito di nero. Gli urlavano: ‘Nazista”. A lui che era ebreo….”
L’influenza del “rock decadente” alla David Bowie e Lou Reed caratterizza la produzione della sua successiva band di Ruggeri, gli Champagne Molotov, fondata con Silvio Capeccia e con la quale si esibisce in numerosi licei milanesi. La prima canzone Living Home che più tardi si chiamerà Vivo da Re è del 1975, scritta durante l’ultimo anno di liceo classico. Nell’inverno successivo, iscrittosi alla Facoltà di Giurisprudenza, insegna italiano e latino come supplente presso la scuola media inferiore Tito Livio di Milano. Enrico per un anno lavora anche a Radio Porta Romana, storica emittente milanese.
“Nel frattempo da Londra era arrivato il punk. . M’innamorai di questi tipi che urlavano il loro essere come gli veniva, con immediatezza. Fu sconvolgente. Per anni, avevamo pensato che per suonare dovevamo aver studiato al conservatorio, essere dei super virtuosi, possedere chitarre che non potevamo permetterci di comprare. Da un giorno all’altro, vedemmo salire sul palco persone che suonavano peggio di noi, ma che avevano cose da dire.”
Nel 1977 la band si trasforma in Decibel, in ottobre i muri di Milano vengono tappezzati di manifestini che annunciano un concerto punk dei Decibel.
“Quando mettemmo su il primo concerto punk a Milano con i Decibel, i centri sociali organizzarono una manifestazione contro. Finì con le cariche della polizia in strada. L’iconografia dei punkettoni non aderiva al copione del musicista impegnato, che serviva la causa, benché fosse chiaro che la furia del punk fosse l’urlo di persone oppresse. Ci volle del tempo perché il punk venisse accolto e assorbito anche in quell’ambiente.”
Si tratta di una provocazione in stile Malcolm Mc Laren (il concerto era infatti un’invenzione) che suscita la reazione anti-punk dei movimenti giovanili della sinistra. Si assiste a zuffe e pestaggi e, l’indomani, i quotidiani parleranno per la prima volta dei Decibel. Incuriosite, le case discografiche contattano la band, la Spaghetti Records li manda a Carimate per registrare l’album del debutto.
Per i Decibel comincia la scalata al successo: incidono i singoli Punk, Indigestione Disko e A mano armata, nel 1979 è la volta dell’album Vivo da Re. Nel 1980 i Decibel partecipano al Festival di Sanremo con il brano Contessa riscuotendo notevole successo. Enrico sfoggia originali montature di occhiali, e una chioma originale (mezzi che Ruggeri usa per farsi notare), col passare degli anni la metamorfosi: operazione per vincere la miopia e perdita dei capelli.
“Il festival era considerato l’epicentro del sistema. Parteciparvi, un tradimento. Sotto casa, mi scrissero con la vernice: “Venduto”. Erano anni tremendi. Gli autonomi arrivarono a contestare Francesco De Gregori, accusandolo di essere un borghese.
Durante la promozione dell’album Vivo da Re i rapporti all’interno del gruppo e quelli con la casa discografica cominciano a incrinarsi seriamente, la band si scioglie nel 1981 ed Enrico incide Champagne Molotov, il suo primo album da solista. Nel 1982 Ruggeri gode del primo vero successo come autore con Tenax interpretata da Diana Est, interprete che spopola sull’emittente Telemilano 58 di proprietà di un certo Silvio Berlusconi.
Nel 1983 Ruggeri abbandona il genere punk (lo manifesterà apertamente nella canzone Punk (prima di te) e pubblica l’album Polvere, successivamente scriverà brani per Loredana Bertè, Anna Oxa, Gianni Morandi, Fiorella Mannoia, Mia Martini, I Pooh, Riccardo Cocciante e Mina.
A partire da questo momento Ruggeri sforna un successo dietro l’altro: Presente (1984, in cui è contenuto Nuovo Swing presentato a Sanremo), Tutto scorre (1985), Rien va plus (1986), Difesa francese e Enrico VIII (sempre del 1986). Nell’estate 1985 Enrico è in tour con Mimmo Locasciulli, esperienza da cui viene tratto il live Confusi in un playback, la collaborazione con Locasciulli prosegue con la tournèe teatrale della stagione 1986/87 e nel 1987 al Club Tenco, i due, prima del concerto di Tom Waits, eseguono il brano Foreign affairs.
“Gli anni ottanta irruppero lavando via tutti i residui dell’ideologismo. Cominciarono a girare un sacco di soldi. Furono anni d’oro anche per l’industria musicale. Andavo in banca e sul conto mi ritrovavo ogni settimana sempre più soldi. Non sapevo nemmeno come spenderli. Avevo vinto Sanremo. Tutto andava bene. Aveva bisogno di una grande cazzata. Cominciai a farmi di cocaina. Non so quante volte salii sul palco senza nemmeno sapere in quale nazione mi trovassi. Non sentivo nulla. Volevo essere sempre sveglio, godermi tutto, eppure non riuscivo a provare il piacere di esserci. Mi faceva schifo trovarmi a notte fonda in compagnia di gente che di giorno disprezzavo, solo perché dovevamo farci insieme. In Brasile assaggiai una coca purissima e capii la merda che avevo tirato. Avevo compiuto quarant’anni. Quando tornai, mi dissi: “Che cazzo stai facendo?”. E smisi.
A metà degli anni ‘80 Enrico si sposa con Laura Ferrato, studentessa di filosofia dell’Università Statale di Milano. Da sempre tifoso di calcio, sportivo lui stesso, il 21 marzo 1984 Enrico debutta, per solidarietà e per divertimento, nella Nazionale Cantanti, di cui fa ancora parte oggi. Grande tifoso dell’Inter Ruggeri riceve dalla società la proposta di curare un inno dedicato alla squadra.
Nel 1987 vince, con Gianni Morandi ed Umberto Tozzi, il Festival di
Sanremo con il brano Si può dare di più, e pubblica gli album La parola ai testimoni e Vai rouge; nel 1989 incide Contatti, un mix di cover, da Battisti a De Gregori, e inediti, e pubblica il libro di racconti La giostra. Il 1990 è l’anno della nascita del figlio Pier Enrico e della pubblicazione dell’album Il falco e il gabbiano, che segna un ritorno al rock. Nel 1991 esce l’album Peter Pan, nel 1993 vince il festival di Sanremo con Mistero (primo brano rock a trionfare nella città dei fiori) e pubblica l’album antologico La giostra della memoria, con il quale fa il punto della sua carriera, la raccolta contiene numerose riletture in versione live di brani scritti per sé e per altri: “Ogni volta che interpretavo dal vivo Il mare d’inverno qualcuno al termine del concerto mi diceva: Ah perché… è tua?”.
Nel 1994 incide l’album Oggetti smarriti e conosce Andrea Mirò, componente della sua band e sua attuale compagna, nel 1996 esce l’album Fango e stelle, nel 1997 è la volta di Domani è un altro giorno, nuova metamorfosi per Ruggeri: completamente rasato a zero. La fine degli anni ’90 è dedicata al lavoro letterario Racconti e poesie (1998) e all’album L’isola dei tesori (1999). Nel 2000 esce Piccoli mostri, nel 2001 il doppio album live La vie en rouge, nel 2002 presenta a Sanremo, con l’orchestra diretta da Andrea Mirò, Primavera Sarajevo.
Enrico, che vive a Milano in zona Porta Venezia, con la compagna Andrea Mirò, alla sua città ha dedicato il brano Salviamo Milano. Ruggeri parteciperà al festival di Sanremo 2003 presentando, con la milanese Andrea Mirò, il brano Nessuno tocchi Caino. Il 6 settembre 2003 esce l’album Gli occhi del musicista, nel 2004 esce l’album Punk prima di te, contenente brani del repertorio punk con i Decibel e brani di Lou Redd, Clash, Sex Pistols, Ramones, e altre star storiche del movimento. Enrico Ruggeri è il rocker pop, per eccellenza, è stato definito cantautore rock per la propria capacità di mescolare i ritmi più violenti del rock con la passione melodica. Nel 2004 esce il dvd Ulisse, a coronamento dei venticinque anni di carriera da solista. Nel 2005 esce il nuovo cd Amore e guerra, quindi Enrico si esibisce in una tourneè teatrale.
Enrico Ruggeri, che è stato anche premiato dal Comune di Milano con l’Ambrogino d’Oro, è stato uno dei più importanti autori di questi ultimi anni scrivendo stupende canzoni del repertorio di Loredana Bertè, Fiorella Mannoia, Mina, Mia Martini, Riccardo Cocciante, Gianni Morandi, ma è anche un grandissimo interprete. Il 5 dicembre 2005, pur senza rinnegare la musica, il suo primo amore, Enrico Ruggeri esordisce come conduttore de Il bivio… cosa sarebbe successo se… su Italia1.
Massimo Emanuelli ringrazia Enrico Ruggeri per l’intervista gentilmente concessagli in occasione della giornata in ricordo di Dino Buzzati, intervista andata in onda nell’ambito del programma MESTIERI ARTIGIANI (Telenova).
AGGIORNAMENTO
Nonostante gli impegni televisivi Enrico continua la sua attività di cantante (cantautore): nel 2007 è uscito il Il regalo di Natale, inconsueto album di Ruggeri che propone 12 canzoni natalizie, più quattro pezzi scritti per l’occasione e la riproposta di Piccola lettera di Natale, che Enrico aveva composto negli anni ’80 e dimenticata. Il 2 maggio 2008 è uscito Rock Show il nuovo album di inediti di Enrico, IL BIVIO, è giunto alla sua terza edizione. ROCK SHOW è il disco del trentennale della carriera di Ruggeri, è un concept album, la storia di un ragazzo che esce dall’adolescenza per diventare un personaggio famoso: “il soggetto sono io e l’album è ovviamente autobiografico. Normalmente ci si celebra, io invece questi anni li ho voluti raccontare”. Dal 2008 Enrico Ruggeri interviene anche al programma di Rai2 SCORIE: “ma in via amichevole, gratuitamente, SCORIE è una specie di spettacolo teatrale portato in tv, dove mi trovo a mio agio. Ci vado come ospite solo perchè sono amico di Nicola Savino, e dopo ci facciamo una birretta assieme”. Nel novembre 2008 parte CONFESSATELO AD ENRICO. QUELLO CHE LE DONNE NON DICONO in onda su Italia1, il sottotitolo è tratto dal celebre brano scritto per Fiorella Mannoia. Nel 2009 esce All in – L’ultima follia di Enrico Ruggeri con tre inediti fra i quali c’è anche il brano Dimmi quand’è che ha dato vita al jingle pubblicitario dell’amaro Averna. Nell’estate 2009 riparte il programma televisivo MISTERO, dal titolo di una sua famosa canzone, il programma continuerà anche nel 2010. Partecipa al Festival di Sanremo edizione 2010 nella sezione artisti con il brano La notte delle farte, quindi esce l’album La ruota contenente la canzone in gara al Festival. Sempre nel 2010 pubblica con Candido Francica il libro Alieni. Un mistero fra noi e torna alla musica con La ruota. Dal settembre 2010 Ruggeri fa parte della giuria di X Factor su Rai2, nel 2011 esce il suo primo romanzo, Che giorno sarà. Nel gennaio 2012 esce Le canzoni ai testimoni, disco nel quale Ruggeri duetta con quattordici artisti dell’underground italiano.
ENRICO RUGGERI: TUTTA UN’ALTRA JINGLE BELLS
di Gigi Vesigna
Dodici canzoni della tradizione rielaborate in stile rock, più un vecchio brano dimenticato e quattro inediti. Per ricordare quando Gesù Bambino era l’unico protagonista.
Non mi era mai capitato di ascoltare le classiche canzoni di Natale, tipo White Christmas o Jingle Bells, in versione rock.
Invece Enrico Ruggeri, con la sua compagna Andrea Mirò e “Quei bravi ragazzi”, il gruppo che abitualmente lo accompagna, ha deciso di percorrere la strada della “diversità” ma con rispetto, non certo per rompere tradizioni che ormai appartengono alla vita di tutti, né tantomeno per stupire o tentare uno smantellamento trasgressivo delle tradizioni delle Feste. È nato così Il regalo di Natale, inconsueto album di Ruggeri che propone 12 canzoni natalizie, più quattro pezzi scritti per l’occasione e la riproposta di Piccola lettera di Natale, che Enrico aveva composto negli anni ’80 e dimenticata. Nonostante questa dovuta premessa, la prima domanda è d’obbligo.
Enrico, perché?
La risposta arriva subito: «Avevo in mente questo progetto da almeno 15 anni, ma continuavo a rinviarlo perché mi rendevo conto del rischio dell’operazione e perciò non mi sentivo ancora pronto e non trovavo la giusta predisposizione. Ma prima o poi dovevo farlo. Il Natale è l’unica festa capace ancora di commuovermi. Mi riporta all’infanzia, a persone, colori e sapori che non ci sono più, con la voglia di riproporre ai miei figli quello scenario che per me fu così importante e formativo».
Quindi non sei di quelli che accusano il Natale di oggi di essere una festa trasformata ad arte per incrementare il consumismo, con la tradizione dei regali e della tredicesima che se ne va in fumo?
«C’è chi lo interpreta così, ma di feste nate per far spendere soldi ce ne sono anche troppe: la festa della mamma, del papà, del nonno, san Valentino, la festa della segretaria, Halloween e chissà quante me ne dimentico. No, ripeto, per me il Natale è quello dell’infanzia che ogni anno, da adulto, ripropongo ai miei parenti. Sono di origine siciliana, quindi per me le tradizioni sono sacre: pesce e un’interminabile tavolata la sera della vigilia e poi, il mattino dopo, apertura dei pacchetti vicino al presepe e all’albero di Natale, che non mancano mai in casa mia, e pranzo esagerato, sino a quando fa sera».
Con chi festeggi quest’anno?
«Ci saranno Andrea, la mia compagna, che è piemontese e ha un forte senso religioso di questa festa (ha appena fatto una tournée nelle chiese), i miei figli, Pico di 17 anni e Ugo che ne ha solo due: da lui l’operazione Natale è ripartita alla grande, perché aspetta Gesù Bambino con un’impazienza fantastica. E ci trasmette l’atmosfera d’un tempo».
I doni li porta Gesù Bambino?
«Ci mancherebbe, Santa Klaus, Babbo Natale, le renne sono personaggi pittoreschi, come gli eroi dei fumetti di Walt Disney, ma sono laici, mentre, almeno per la mia famiglia, Natale resta tuttora una festa religiosa».
Dì la verità, al di là degli arrangiamenti di certe canzoni, ti sei anche divertito a trasformare il tuo gruppo in “Quei bravi ragazzi” che, in un film di Scorsese, erano pericolosi gangster, simpatici quanto spietati. Basta guardare la copertina per sentirsi seduti in un ristorante di Little Italy…
Ride: «E pensare che è stata scattata alla cascina Monluè, che è proprio qui dietro la mia sala di registrazione».
Qualche pensiero sul disco, che propone altri classici come Have yourself a Merry Little Christmas, anche quello in bilico tra rock e tradizione, e gli inediti: Stella, ispirata alla tradizione («stella che illumini il sole, riempi di luce il mio mondo»), e C’era una volta Natale, che stigmatizza il lato consumistico («orologi, catenine, cellulari e telecamere dalle vetrine, occasioni di vacanze che non hanno fine, e la vittima sei tu»), danno una svolta alla successione di motivi, così come Il regalo di Natale fa tornare subito alla melodia con la splendida voce di Mirò, che sembra raccontare una fiaba al mondo; mentre Il Natale dei ricordi attinge alle memorie dell’infanzia, «dolci di torrone, popolati da persone amate che purtroppo non ci sono più».
Nel panorama musicale di questo Natale affollato da tanti dischi “recuperati” dai magazzini con il pretesto del “meglio di” , quello di Enrico Ruggeri è davvero un momento musicale che può anche lasciare per un attimo perplessi, ma gronda di buona fede.
Enrico, lo sai che White Christmas è il disco più venduto del pianeta?
«Lo immaginavo; so che l’hanno inciso un po’ tutti, da Elvis Presley a Nat King Cole, che l’ha scritta Irving Berlin nel 1940 e fu lanciata da Bing Crosby, che ne ha vendute 50 milioni di copie. E so anche che si contano quasi 2.000 incisioni diverse».
Però forse non sai perché Irving Berlin, ebreo russo emigrato negli Usa che in tutto ha firmato 800 canzoni, ha scritto il suo più grande successo…
Al suo cenno negativo gli racconto la storia vera della canzone, che sembra una leggenda. Il primo verso della canzone è I’m dreaming of a white Christmas (“Sogno un bianco Natale”): Berlin “copiò” la frase dalle lamentele degli amici che, trasferitisi in California, non potevano più godersi un Natale con la neve…
«Beh, se non è vera è ben trovata…».
No, Enrico è la pura verità. Le leggende nascono anche così.
LA MUSICA E’ FINITA
Fa quasi tenerezza quello che scrive Enrico Ruggeri sul suo profilo facebook. “Tutti i cantanti sono soliti snocciolare cifre quasi sempre gonfiate sulle loro vendite. Io invece voglio essere sincero: il mio muovo cd non sta andando bene. Tutti mi fanno i complimenti, tutti mi dicono dicono di averlo ascoltato ma le vendite sono molto più nasse della mia media. Mi sembra strano proprio in un momento in cui grazie a facebook e twitter ho instaurato un rapporto continuativo e cordiale con decine di migliaia di persone. Non posso pensare che tutti questi miei amici vogliono solo interagire con me senza avere voglia di sentirmi cantare. E non voglio pensare che tutte queste persone lo abbiano scaricato illegalmente.” Ma anche si, poichè… così fans tutti.