E’ morto Alfredo Pigna

akfredo pigna

Alfredo Pigna è nato a Napoli il 6 giugno 1926, da Corrado (ingegnere) e da Anna Pesce. Primogenito di tre sorelle (Dora, Zora e Marò) rimase orfano di guerra a 14 anni (il padre morì a Tobruk (Libia) il 16 dicembre 1940) e si laurea in legge nel 1949 mantenendosi agli studi facendo lo scaricatore di porto, il marinaio e l’autista di camion nella Napoli occupata dalle truppe alleate (vedi alla voce scrittore: “Baid”). scrive il suo primo romanzo, Baid, nel 1949, racconto degli anni della guerra.
Nel 1950 lascia Napoli ed emigra a Milano inizia a lavorare staccando biglietti alla Fiera Campionaria e poco dopo comincia a collaborare come cronista a Milano-Sera, quotidiano milanese del pomeriggio nato per fare da contraltare al romano Paese Sera: “la Milano della ricostruzione accoglieva tutti, trovai immediatamente lavoro e per un certo periodo lavorai sia alla Fiera che a Milano-Sera, dopo un solo mese di prova venni diventai giornalista professionista e venni assunto a tempo pieno”. Pigna inizia come cronista giudiziario al Palazzo di Giustizia e si fa le ossa: l’handicap di vivere solo a Milano, a differenza dei colleghi milanesi gli consente di non avere orari da rispettare (per casa, famiglia, amici) e, di conseguenza, di poter rincorrere le notizie di giorno, di notte, sempre e dovunque. A quei tempi (la TV era ancora da venire) i quotidiani della sera campavano sulla cronaca nera, giudiziaria e rosa. Pigna si adeguò. Il giovane Pigna realizza una serie di esclusive come lo scandalo valutario (in prima pagina per mesi) gli valsero la promozione a inviato, le prime lucrose collaborazioni con i settimanali (anche stranieri) e l’acquisto della agognata “500”, in società con Giglio, il suo capocronista. L’accordo fu che Giglio l’avrebbe usata solo per il tempo libero mentre Pigna se ne sarebbe servito per fare (al meglio) l’inviato. Come quella volta che, dopo uno spericolato inseguimento, intercettò la principessa Ruspoli e la intervistò. La nobildonna era fuggita da casa col suo autista e si era resa irreperibile dopo che il marito, principe Rocco di Torrepadula, l’aveva denunciata. Alla vigilia del processo di Verona, che fece scalpore, gli altri giornali titolarono: “Introvabile la principessa latitante”mentre Milano-sera pubblicò la foto della principessa mentre Pigna la intervistava. L’inviato del Corriere della sera si complimentò con Pigna e aggiunse sarcastico: “peccato che al mio giornale non leggono il tuo!” Una chiosa che si rivelò inesatta. Con quella storica (per lui) “500” Pigna e Giglio andarono ad accogliere alla stazione il neo-emigrante (anche lui) Enzo Biagi che approdava a Milano, dal Resto del Carlino di Bologna, come caporedattore del neonato settimanale Epoca diretto da Alberto Mondatori. Per Pigna il giro di boa arrivò con lo scoop delle ragazze squillo. Il termine (tuttora in voga) fu “importato” dallo scandalo delle “call girls di Minot Gelkis”. Il rotocalco Le Ore se ne assicurò l’esclusiva per un milione di lire che Pigna accantonò per mettere su casa. Nel giugno 1953 sposò infatti Liliana Barella. Quei burloni dei suoi colleghi di Milano-sera titolarono la notizia nel seguente modo: occhiello: “Le disavventure di un collega”; titolo: “Alfredo Pigna in… Barella”. Alfredo infatti si sposa nel giugno 1953 con Liliana Barella (deceduta nel giugno 2013 una settimana dopo avere festeggiato i 60 di matrimonio) dalla quale avrà due figli: Cinzia (medico) e Corrado, (ingegnere) e 4 nipoti: Gioia, Eva, Edoardo e Emanuele.
Nell’estate del 1953 Milano sera chiuse i battenti e Pigna trovò lavoro come “sostituto estivo impaginatore” nel quotidiano La Patria. Due mesi dopo accettò l’offerta di Gian Giacomo Feltrinelli che aveva nel frattempo acquistato la testata di Milano sera restituendo il posto di lavoro ai 49 giornalisti rimasti disoccupati dopo la chiusura del giornale. Il progetto era di italianizzare anche nei menabò di piccolo formato (poi realizzato da La repubblica) la formula del Daily Mirror. L’idea era geniale, ma non arrivò mai in porto. Esperienza esaltante che clamorosamente abortì solo tre mesi dopo perché Feltrinelli cambiò idea e i 49 giornalisti di (ri)trovarono in mezzo a una strada. “Il fatto è che Feltrinelli, personaggio ribelle e enigmatico (anni dopo morì dilaniato da una bomba da lui stesso collocata sotto un traliccio dell’alta tensione a Segrate) si dimostrò allergico alle pressioni del precedente editore di Milano Sera (il medesimo dell’Unità) e dei colleghi della Confindustria (di cui era membro) i quali pretendevano, ciascuno per la sua parte, “garanzie politiche”, riguardo alla linea editoriale del giornale, a dir poco inconciliabili fra loro. Di conseguenza Feltrinelli (“Giangi”, per gli amici) si stufò, mandò tutti a quel paese e, alla vigilia del Natale 1953, consegnò lettera di licenziamento e relativa liquidazione a ciascuno dei 49 giornalisti che aveva assunto tre mesi prima.”
Pigna, rimasto disoccupato, partecipò al concorso che la Rai aveva bandito (1953-1954) per assumere giornalisti in vista della nascita della Televisione. Al concorso parteciparono circa dieci mila concorrenti. Pigna superò tutte le eliminatorie (durate un anno) e fu tra i 5 prescelti. Rifiutò l’assunzione perché gli fu offerto uno stipendio al minimo sindacale, mentre al Corriere della Sera, dove, nel frattempo, era stato assunto, già ne guadagnava il doppio. In compenso Pigna accettò di collaborare da esterno al neonato TG diretto dal bravo Vittorio Veltroni (padre del leader politico Walter) e alle rubriche sperimentali di Giuseppe Bozzini (uno degli esaminatori del concorso-Rai), insieme con giovani di belle speranze, anche essi vincitori del concorso, come Furio Colombo, Umberto Eco, Elio Sparano ed Ezio Zefferi, ma durò poco poichè lasciò subito la tv per lavorare al Corriere.
Pigna trovò subito lavoro perché Gaetano Afeltra lo chiamò al Corriere della sera affidandogli la cronaca giudiziaria del Corriere d’Informazione, quotidiano del pomeriggio del Corriere della Sera, lavorò in via Solferino dal 1954 al 1965. Al Corriere della sera Pigna si mise in luce per alcuni scoop (stile Milano sera ), ne ebbe, in compenso, un orario di lavoro massacrante e cioè: da mezzanotte alle 4 del mattino e dalle 12 alle 18. Durante il turno di notte era estensore, titolista, e impaginatore della prima edizione della cronaca del Corriere d’informazione. All’alba andava a dormire e si svegliava a mezzogiorno per “correre” al Palazzo di Giustizia. Dopodiché si recava in redazione per curare le altre edizioni del giornale che “uscivano” alle ore 14 e alle 17: una follia! Una notte Afeltra spedì Pigna sull’Appennino emiliano dove una corriera era precipitata in un burrone con tanti bambini a bordo. Gli inviati speciali erano tutti fuori sede o irreperibili, così Afeltra spedì sul posto il cronista che faceva il turno di notte (Pigna) per coprire l’ultima edizione del Corriere della sera che chiudeva alle 4 del mattino. Pigna si precipitò sul posto e, non avendo il tempo per scrivere l’articolo, lo telefonò “di getto” agli stenografi sforzandosi di non usare aggettivi. L’articolo fu pubblicato in prima pagina, firmato Al. P. Il giorno dopo Dino Buzzati lo convocò nel suo ufficio: “Lei scrive in maniera garbata – gli disse laconico – Le piacerebbe collaborare con noi?” Con quel “noi” Buzzati intendeva la Domenica del Corriere. Quando un fattorino gli comunicò che Buzzati voleva parlargli, Pigna cascò dalle nuvole. Era convinto che Buzzati ignorasse la sua esistenza. Per lui, anonima recluta, Dino Buzzati era uno degli irraggiungibili “big”che a volte vedeva sfilare nei corridoi del Corriere della sera: personaggi come Luigi Barzini jr., Montanelli, Eugenio Montale, Max David, Egisto Corradi, Vergani etc. Della Domenica del Corriere Pigna sapeva poco: 1) che Eligio Possenti ne era il direttore “honoris causa” (si occupava infatti solo della critica teatrale); 2) che se uno voleva sfottere un altro collega, gli diceva: “zitto tu che puoi scrivere solo sulla Domenica del Corriere”. Pigna seppe che Buzzati aveva avuto l’incarico dalla mitica “proprietà” di rilanciare il vecchio settimanale solo il giorno in cui Buzzati gli chiese di “scrivere un articolo anche per noi”, e che con quel “noi” intendeva la Domenica del Corriere. Pigna farfugliò un “sì, grazie!”, e si precipitò in redazione. Nel terrore di deludere Buzzati, trascorse tutta la notte per scrivere e riscrivere quel primo articolo. Altri ne seguirono ed ogni volta Pigna si sentiva sotto esame e temeva d’essere bocciato. Finché un giorno, al rientro da Sanremo (dove Afeltra lo aveva inviato per il Festival) Buzzati gli chiese di scrivere un “pezzo” su una certa cantante. Nel rispondere che il collega Buonassisi ne sapeva più di lui – visto che per quella cantante aveva scritto i testi di una canzone – Pigna fu preso dal dubbio d’essersi giocato la fiducia di Buzzati. Accadde il contrario perché da quel giorno fu ammesso a partecipare anche alle riunioni in cui era lecito… “svanverare”. Per “svanverare” Buzzati intendeva le divagazioni e i rimbalzi di idee fra due o più interlocutori sul come impostare il nuovo numero del settimanale. Era lecito dire qualsiasi cosa venisse in mente. Molto spesso, fra una sciocchezza e una “svanvera”, affiorava una larva di idea che poi veniva messa a punto e realizzata: sia per le copertine del grande Walter Molino, sia per i vari “servizi”. Il fatto è che Buzzati, per “rilanciare” il vecchio settimanale poteva contare soltanto su 2 (due) redattori, Gibelli e Libenzi, un grafico, Ariano e la recluta Pigna. I collaboratori esterni del settimanale, che il suo predecessore Zanicotti gli aveva lasciato in eredità, erano quasi tutti insegnanti delle elementari o del ginnasio. Nessun giornalista del Corriere della sera figurava fra i prescelti perché Zanicotti era convinto che soltanto i maestri di scuola fossero in grado di scrivere articoli comprensibili anche per i lettori della Domenica del Corriere, per lo più semianalfabeti.
Buzzati era invece dell’idea che solo i veri giornalisti fossero in grado di farsi capire da tutti: “dal garzone di bottega, allo scienziato”e che se un solo lettore non capiva, la colpa non era del lettore ma del giornalista che non era riuscito a spiegarsi. Ne derivò la “svanverata”di sostituire i maestri delle elementari (di Zanicotti), con i maestri di giornalismo che circolavano per via Solferino, a cominciare dai migliori. Indro Montanelli fu il primo al quale Buzzati fece una offerta che il suo anticonformista amico non avrebbe potuto rifiutare: Gli “offrì” infatti una intera pagina, “tutta sua”, nella quale Montanelli avrebbe potuto scrivere, ogni settimana, tutto ciò che gli frullasse nella mente, su qualsiasi argomento, per quanto scabroso fosse: poteva cioè scrivere articoli che il tradizionalmente “prudente” Corriere della sera non gli avrebbe mai pubblicato. Montanelli ne fu ingolosito, accettò e “La stanza di Montanelli” diventò una delle rubriche più lette d’Italia. Il giovane Pigna tenne (col batticuore) i contatti con Montanelli che si rivelò il più puntuale dei collaboratori. In seguito Montanelli accettò di scrivere a puntate la Storia dei romani e poi la Storia dei greci (e diventò il più venduto scrittore italiano). Dopo Montanelli altri big, restii a scrivere sulla Domenica del Corriere (per non “sputtanarsi”) offrirono le loro “firme”. Furono scelti solo i più bravi; e da “settimanale dei semianalfabeti”la Domenica del Corriere diventò il “giornale delle grandi firme”. (vedi: il rito delle svanvere ). Gli svanveramenti Buzzati-Pigna diventarono un rito irrinunciabile che produsse, fra l’altro, anche l’idea di affiancare una “traduzione” agli incomprensibili discorsi di certi politici. Emerse dalle traduzioni che nessuno ci capiva niente perché… non c’era nulla da capire; e, svanverando sulle lettere dei poveracci che denunciavano le ingiustizie subìte, nacque “Giustizia per i pensionati”, un “romanzo” a puntate che svelò le malefatte della burocrazia capace di negare, per anni e anni, pensioni sacrosante; oppure di assegnare pensioni miserabili a vedove di guerra (o altro) sulla base di parametri risalenti a mezzo secolo prima. Come diretta conseguenza nacque la rubrica “Il ministro risponde”; e nessun ministro osò mai negarsi agli appelli di via Solferino. Un giorno filtrò per caso (dall’ufficio pubblicità) la notizia che la sconosciuta Ferrero (cliente-inserzionista del Corriere della sera) non solo era diventata, in pochi anni, la più grande azienda dolciaria dell’intera Europa, ma che l’unico padrone era un aitante ragazzo di trenta anni. Una storia di interesse giornalistico che suggerì la svanvera di scoprire e di dare un volto (e una storia) ai vari sconosciuti protagonisti di quel miracolo economico che stava risollevando l’Italia dalle macerie della guerra restituendole l’antico prestigio in ogni angolo del mondo. L’ovvia deduzione fu che nomi come Agnelli, Ferrari, Pininfarina, Innocenti, Enrico Mattei, Faina, Ferrero, Borghi, Zanussi e così via, fossero noti, per lo più, come marchi di fabbrica (Fiat, ENI, Rex, Atlantic, Ignis, Montecatini, Faema, Ferrero, etc.) ma non come uomini in carne ed ossa, protagonisti di storie spesso più interessanti di quelle scritte e riscritte a getto continuo sui divi del cinema o della TV. I boss dell’industria erano personaggi schivi che concedevano rare e stringate dichiarazioni e solo ai fogli economici; anche perché essi rifiutavano per norma ogni forma di intrusione nella loro vita privata, D’altra parte era tutta gente che non ingolosiva più di tanto i più agguerriti concorrenti della Domenica del Corriere ( Oggi, Gente, etc.). in caccia perenne delle (ex) teste coronate, dei loro rampolli, dei divi del cinema e della TV: e cioè di tutti quei soggetti da copertina ai quali i giornali specializzati in “gossip” (si dice oggi) dovevano le loro fortune editoriali. Buzzati affidò a Pigna la rubrica I potenti che nessuno vede mai con l’impegno di stanare i “potenti” dai loro austeri uffici (fra segretarie e tirapiedi:il che avrebbe prodotto articoli ingessati, noiosi e illeggibili), ma di vincerne la riservatezza entrando nelle loro case (per descrivere i loro autentici rapporti con mogli, figli, maggiordomi o domestici) e magari, aggiunse Buzzati, di andarci a sciare insieme, oppure in crociera sui loro yatch, e via svanverando. Pigna eseguì: andò a sciare, in crociera, e seguì i potenti anche sui loro aerei o elicotteri. La rubrica ebbe successo e ne venne fuori anche il libro Miliardari in borghese, con la prefazione firmata da Dino Buzzati, il quale volle cavarsi la soddisfazione di svelare i misteriosi artifici ai quali era ricorso Pigna per portare a termine una impresa altrimenti impossibile. Lo slogan “se è scritto sulla Domenica del Corriere vuol dire che è vero”, fu suggerito da un lettore. Ne derivò la convinzione che la Domenica del Correre avrebbe potuto rincorrere la verità magari anche smentendo, con scrupolose ricerche, gli stessi libri di testo scolastici che erano infarciti di retorica e di balle su tanti capitoli della storia d’Italia. A cominciare dalla vera storia della prima Guerra Mondiale che, in 20 puntate, sbugiardò, tra l’altro, generali dello Stato Maggiore che erano stati tramandati come eroi e che, invece, si erano comportati da codardi o da opportunisti. Soltanto la Domenica del Corriere avrebbe potuto concedersi un tale lusso senza temere l’accusa di anti-patriottismo. Difatti nessuno protestò e i lettori aumentarono ancora. Da una svanverata sulla neonata televisione si ipotizzò che la TV non fosse affatto una nemica del giornali (come molti sostenevano) ma che fosse vero il contrario. Partendo dunque dal presupposto che era la TV ad orientare i gusti del pubblico, ne derivava che i giornali avrebbero venduto più copie se avessero appagato la curiosità dei lettori su personaggi e argomenti che la TV lanciava ma che era costretta a “raccontare” in modo incompleto per endemiche esigenze di spazio. Adesso lo hanno capito tutti; ma per quei tempi fu una “utile scoperta”sperimentata con successo quando, ad esempio, l’ormai pensionato Cesco Tomaselli accettò di scrivere un articolosulla tragedia del “Dirigibile Italia”che la TV aveva riproposto dividendo gli italiani a metà (come era accaduto a suo tempo), fra quelli che consideravano il capo della spedizione al Polo Nord, generale Umberto Nobile, un eroe e i molti (come Mussolini), che lo giudicarono un vigliacco. Tomaselli, unico testimone vivente, aveva seguito la spedizione a bordo del dirigibile come inviato del Corriere della sera ed era sopravvissuto per puro caso alla tragedia (1928). Fu un’impresa convincerlo, ma dopo il primo articolo dovette scriverne altri 11 (undici) per non deludere i lettori che avevano sommerso di lettere la redazione. L’incremento di vendite del settimanale fu enorme. Un altro aumento di vendite coronò la pubblicazione, in esclusiva, dei racconti di Alfred Hitchcok sulla scia del successo che i “gialli” del celebre regista riscuotevano in televisione. Un’esclusiva che costò quattro soldi perché Hitchcok, considerato merce pregiata per cinema e Tv, era valutato solo 10 mila lire per ognuno del racconti gialli che aveva raccolto in un libro e che la Domenica del Corriere pubblicò affiancandoli alla tradizionale Realtà romanzesca.
Un’altra rubrica di successo fu il “Processo alla TV”che consisteva nel “valutare” i programmi attraverso le requisitorie dell’accusa e le arringhe della difesa. A sentenziare furono gli stessi lettori. L’iniziativa ebbe vasta eco perché Pigna convinse l‘amico Enzo Tortora, uno dei personaggi più popolari della TV, ad accettare il ruolo di avvocato difensore; ruolo che Tortora svolse con competenza, signorilità ed ironia. Fu quello il periodo più intenso della vita professionale di Buzzati. Ma era e resta anche il meno conosciuto. La critica osannava Buzzati come scrittore, elzevirista, autore di teatro o come eccelso cronista, anche sportivo (il Giro d’Italia), ma di quelle 7-8 ore al giorno che dedicava alla ex moritura Domenica del Corriere, pochi seppero e… tramandarono. Tra quei pochi va ricordata Camilla Cederna che nella sua rubrica parlò di quel miracolo editoriale senza precedenti che era diventata La Domenica del Corriere di Buzzati. Il sodalizio di Pigna con Buzzati durò dieci anni. Pigna ne fu segnato sul piano professionale e umano. Risale infatti a quel tempo il burrascoso periodo che Buzzati descrisse nel romanzo Un amore: una sorta di masochistico diario che contribuì ad isolare Buzzati più di quanto non avesse già provocato la sua scelta di restare al di fuori delle snobistiche correnti culturali del tempo. Pochi seppero perdonargli la “sbandata” per Laide, la ragazza-squillo (che, nella realtà, si chiamava Silvana) e che lo fece soffrire più di quanto Buzzati non avesse descritto nel libro. Un romanzo che fu impietosamente stroncato dalla critica; e perfino dai suoi amici più cari: che si defilarono. Pigna fu diretto testimone di quella tormentata vicenda e fu accanto al Dino sempre: quando lo vide rifugiarsi nel lavoro come un forsennato, quando gli chiedeva di continuare a svanverare (per non restare solo) anche a cena, o durante i week end dai Pirovano, allo Stelvio o a Cervinia, dove andavano a sciare. Ma il più delle volte Buzzati trascorreva la notte lavorando fino all’alba. In quel periodo scrisse La colonna infame che il bravo Gianni Cajafa interpretò per il teatro di Maner Lualdi, un Don Giovanni (per la TV), libretti per il musicista Chailly e molto altro ancora compresa la sceneggiatura del film Un fischio al naso, che Buzzati scrisse insieme con Pigna e che fu interpretato e diretto da Ugo Tognazzi il quale era rimasto affascinato dal Caso clinico dello stesso Buzzati (che il premio Nobel Albert Camus tradusse per il teatro e la Tv francesi). Eppure fu proprio durante quel tormentato periodo che la Domenica del Corriere diventò il settimanale più venduto (1 milione e 280 mila copie) realizzando quel miracolo (Camilla Cederna dixit) che rivitalizzò l’intera azienda di via Solferino con la nascita del nuovo stabilimento-stampa (per star dietro alle crescenti tirature della Domenica del Corriere), e la creazione di rotocalchi come Amica. A Buzzati quel miracolo fruttò la… promozione a critico d’arte (!) che lui, incredulo e amareggiato, alla fine accettò abbandonando la Domenica del Corriere al suo destino (che fu infausto). La verità è che Buzzati era ormai stufo di battersi contro i mulini a vento; e poi aveva incontrato Almerina che lui sposò e che lo rese felice fino all’ultimo dei suoi giorni.
Dino Buzzati quindi volle Pigna al suo fianco per rilanciare la Domenica del Corriere e Pigna diventò caporedattore e poi vice-direttore di questa prestigiosa testata, Alfredo Pigna fu amico di Buzzati e, come già scritto, sceneggiò con lui il film IL FISCHIO AL NASO (tratto da un racconto dello stesso scrittore) per la regia di Ugo Tognazzi. “Dino Buzzati mi fu amico, fratello maggiore e impagabile maestro durante il nostro prezioso, decennale sodalizio professionale: dieci anni che restano i meno conosciuti, pur se fondamentali, della sua esistenza; ed anche i più importanti ed esaltanti dell’intera mia vita.”
Dieci anni dopo, il vincente tandem Buzzati-Pigna fu inopinatamente sciolto. A Buzzati fu “offerto” di rinunciare alla direzione della Domenica del Corriere (che iniziò il suo irrefrenabile declino) per dedicarsi alla critica d’arte, mentre Pigna fu dirottato a Roma per dirigere la Tribuna Illustrata. nel frattempo acquistata dal Corriere della sera. Nel 1966 Pigna fu nominato Commendatore al merito della Repubblica per aver realizzato (come “vice” di Dino Buzzati direttore alla Domenica del Corriere), quello che la esigente Camilla Cederna definì il “miracolo editoriale italiano del dopoguerra”. Il “miracolo” fu sia il rilancio della Domenica del Corriere, che tornò ad essere il settimanale più venduto in Italia, sia il conseguente rilancio dell’ azienda del Corriere della sera (con la creazione dello stabilimento di via Scarsellini resosi necessario per stare dietro alle crescenti tirature della Domenica del Corriere) che favorì la nascita di fortunate iniziative editoriali come Amica etc. Pigna eseguì e ricominciò a svanverare con giovani di talento come Viviano Domenici, Raffaele Fiengo, Gianfranco De Laurentis, Giovanna Grassi, Bartolo Pieggi, Vincenzo Nani e Graziella Berandi. Il risultato fu che le 48 mila copie della Tribuna Illustrata furono più che raddoppiate (in 5 anni), mentre la super potenziata Domenica del Corriere (i redattori da 3 diventarono 30) subì un inarrestabile calo di vendite. Fu un “miracolo”(all’incontrario) che ne propiziò la fine ingloriosa. Morale: alla Tribuna Illustrata, giudicata concorrente (!) della Domenica del Corriere, fu, senza alcun preavviso, mutato il nome in T-7, e poco dopo fu tolta dalle edicole. Una mostruosità editoriale che il comitato di redazione del Corriere della sera lasciò correre: inerte e silente. E fu l’avvisaglia del “tornado” che si sarebbe abbattuto sull’azienda di via Solferino. Pigna lasciò il Corriere della Sera nel 1970 non condividendo la decisione degli editori di via Solferino di sopprimere la Tribuna Illustrata che nei 5 anni da lui diretta aveva quasi triplicato le vendite. Un compito relativamente facile visto che il settimanale vendeva 48 mila copie e lìevitò fino a 120 mila copie. Pigna se ne andò rifiutando le allettanti offerte che gli furono fatte per trattenerlo al Corriere della Sera. Qualche tempo dopo anche Indro Montanelli, Egisto Corradi e altri 30 redattori abbandonarono il Corriere della sera alla vigilia dello scandalo della “P-2”. Pigna fu disoccupato per sei mesi prima di essere assunto alla Rai-TV.
In Rai Pigna aveva già avuto un’esperienza nel 1968 con il neonato TG-1 delle 13,30 accanto a Piero Angela, Mario Pastore e ad Andrea Barbato. Era la prima volta che i giornalisti apparivano in un TG al posto dei famosi “lettori”, l’idea fu di Biagio Agnes. Nell’occasione Pigna commentò le Olimpiadi Invernali di Grenoble in gennaio e quelle di Città del Messico nell’autunno successivo. I giornali ne parlarono bene, ma lui fu costretto a rifiutare il contratto con la Rai perché stava lottando, come direttore della Tribuna illustrata, per salvare il settimanale che gli editori del Corriere della sera avevano deciso di far sparire dalle edicole Perduta la battaglia Pigna si dimise e sei mesi dopo fu assunto in TV da… disoccupato. Il che significa che dovette accettare dalla Rai uno stipendio di 12 milioni di lire all’anno rispetto ai 25 milioni annui che, fra stipendio e gratifiche, guadagnava al Corriere della sera.
Pigna fu assunto in Rai insieme con due colleghi come Alberto Cavallari (futuro direttore del Corriere della Sera) e Arrigo Petacco, stimato giornalista, scrittore e storico. Una circostanza che anche giornali autorevoli (critici con la Rai) come Panorama, sottolinearono come una importante “svolta”che sfatava la diceria secondo cui la Rai per assumere,adottava il noto criterio dei tre inscritti alla DC, dei due del PSI, di un PCI e infine di uno … bravo.
Pigna iniziò così a lavorare al Tg1 occupandosi di sport, nell’estate del 1970 i giornali si sbizzarrirono cercando di scoprire chi avrebbe sostituito Enzo Tortora (e Bersani) alla guida della Domenica Sportiva. I più gettonati furono personaggi popolari come Ugo Tognazzi, Raimondo Vianello e Mike Buongiorno ben visti dai vertici della Rai ma non dai responsabili del Telegiornale i quali mal digerivano interferenze (della rete) nella gestione del TG-1 e della più popolare trasmissione della Rai. Finì che, nell’attesa di accordarsi sul nome del nuovo presentatore, Pigna fu inviato, provvisoriamente, alla Domenica Sportiva.
Pigna accettò il ruolo di “tappabuchi” a condizione di fare il giornalista, non il “presentatore”. Tutti d’accordo al TG-1 (Agnes, De Luca e Zavoli), ma non i curatori della Domenica sportiva i quali giudicavano intoccabile la formula dello “show”, con un unico mattatore in campo (non vincolato al TG-1, ma solo a… loro). Essi sostenevano cioè che, senza un collaudato e famoso “show man”, gli ascolti sarebbero crollati. Dal canto suo Pigna propose le seguenti modifiche:
1) che la scenografia della Domenica Sportiva si ispirasse ad una redazione, non a un teatrino, e che in studio fossero presenti anche gli altri giornalisti fino ad allora ingiustamente invisibili;
2) che la moviola (oggetto misterioso e invisibile) si materializzasse in studio ben visibile a tutti;
3) maggior spazio ai campioni (sconosciuti) degli sport minori con ritratti filmati che Pigna stesso avrebbe curato, al posto delle gag in studio perfette per il bravo Tortora, ma non per un giornalista.
4) che nella sostanza, ma anche nella forma (titoli di testa), Pigna sarebbe stato il conduttore della trasmissione, non il presentatore come i suoi predecessori..
I responsabili del TG-1 furono d’accordo con Pigna malgrado le rimostranze dei curatori e dei redattori della sede Rai di Milano i quali, non conoscendo Pigna, lo considerarono uno dei raccomandati che “Roma” spediva al Nord per rompere loro le uova nel paniere (ignorando che Pigna era il più milanese di tutti loro essendo nato e cresciuto professionalmente proprio a Milano). Che poi non fosse un “raccomandato”politico lo capirono in fretta.
L’intera verità sarebbe emersa man mano, ma intanto la nuova Domenica Sportiva prese il via; e la moviola decollò con i bravi Bruno Pizzul, Carlo Sassi e Vitaletti, per non parlare di giornalisti come Beppe Viola, Alberto Giubilo, Adriano Dezan, Aldo Giordani, Paolo Rosi, etc, che ebbero modo di dimostrare il loro talento anche “dal vivo”. Morale: gli ascolti non crollarono ma lievitarono fino a diventare record tuttora imbattuti (vedi la voce i record). Infatti Pigna restò conduttore “provvisorio” per i successivi… quattro anni della trasmissione. Ma continuò ad essere contestato dai suoi curatori e dal regista Bruno Beneck (che era anche il Presidente della Federazione Baseball!). Erano le prime avvisaglie delle difficoltà che Pigna avrebbe incontrato in quella sua nuova esperienza professionale e che Enzo Tortora profetizzò in una affettuosa lettera aperta che il Corriere d’informazione pubblicò in prima pagina il 26 settembre 1970 proprio alla vigilia del debutto di Pigna alla Domenica Sportiva. Quando Pigna approdò alla Domenica Sportiva nel 1970 Il critico televisivo dell’Espresso Sergio Saviane scrisse sul suo giornale che Pigna era “un funzionario democristiano travestito da giornalista”. Era una balla talmente macroscopica che Gianni Brera invitò Pigna a sbugiardare Saviane (compito facile) scrivendo un articolo sul “Guerin Sportivo”che lo stesso Brera dirigeva. Saviane, imperterrito, continuò a chiamare Pigna “don medaglietta”. In compenso, 20 anni dopo, nella sua testimonianza su Dino Buzzati, contenuta nella tesi di laurea della bellunese Cinzia Mares (pagina 177), Saviane accennò a Pigna in modo lusinghiero. Meglio tardi che mai.
Pigna esordì alla Domenica Sportiva il 27 settembre 1970. Il giorno prima Enzo Tortora, suo vecchio amico (e collaboratore alla Domenica del Corriere: vedi il giornalista), gli inviò una affettuosa “lettera aperta” sulla prima pagina del Corriere d’informazione dal titolo “I cari auguri di un tele-pensionato” nella quale testualmente scriveva tra l’altro: “Alfredo Pigna è uno dei più bravi, vivaci e intelligenti giornalisti che io abbia mai conosciuto. Sono convinto che farà un ottimo lavoro; lo ha sempre fatto per tutto il corso della sua vita e della sua carriera. Sa quello che vuole il pubblico: fatti e non chiacchiere… Infine Enzo Tortora concludeva: Buon lavoro, mio carissimo Alfredo…se c’è una cosa che mi preoccupa è il tuo carattere e debbo amaramente concludere che sei leale, coraggioso e onesto. Tre qualità che, per troppa gente, sono caratteristiche negative e puzzano maledettamente di eresia. Sali dunque sull’ammiraglia forse più scintillante del piccolo schermo…ma farla navigare non è facile, pur avendo uno splendido equipaggio, dei mezzi invidiabili e conosci le leggi del mare. Buon viaggio Alfredo…col cuore e l’amicizia di sempre. Tuo Enzo Tortora.” Tortora parlava a ragion veduta. Era stato il primo “presentatore” della Domenica Sportiva e,da brillante show-man, trasformò uno stringato “notiziario” in una rubrica di successo. Funzionò fino al giorno in cui Tortora, che non aveva peli sulla lingua, espresse il suo (severo) giudizio sui burocrati della Rai in una intervista al settimanale “Oggi”. Tortora ci andò giù pesante e ne venne fuori un putiferio. Pigna offrì a Tortora le pagine del giornale che dirigeva per consentirgli di ribattere alle accuse che gli venivano fatte. Ma Tortora, che non era il tipo che prima accusa e poi ritratta (sport molto in voga oggi), declinò l’amichevole invito e la Rai lo licenziò. D’altra parte in Rai (che pullula di talenti “ignorati”) si negava, anche di fronte all’evidenza, che vi fossero burocrati e funzionari (faziosi e incapaci), frutto della “lottizzazione politica”. Un tasto che è rimasto argomento tabù fino ad epoca recente. A parte il caso Tortora, fece scalpore ciò che accadde a Bruno Vespa il quale, da direttore del TG-1, infranse il tabù e lealmente ammise (primi anni ’90) che “la Democrazia Cristiana era il suo editore di riferimento”. Fu realista e coraggioso ma, per aver detto la pura verità, fu cacciato dalla direzione del TG-1. Intendiamoci: Vespa, in seguito, s’è rifatto, eccome!, da quel clamoroso infortunio. Ma il fatto, emblematico, rimane.
Nel 1970 l’intero sport italiano si auto-finanziava con i proventi del Totocalcio che in gran parte finivano alla…fonte dei miliardi e cioè alla potente Federazione Calcio, sospettata di riservare alle federazioni consorelle le briciole del malloppo; con un occhio di riguardo alle federazioni “amiche”. La situazione alla Domenica Sportiva (definita la “Domenica calcistica”) peggiorò quando, al posto del bravo Aldo Boriani, fu nominato “capo dello sport-TV”, Nino Greco che era un ex arbitro di calcio ed era stato assunto in Rai (in quota DC) su indicazione del CONI (e della Federazione Calcio). Che fosse un “esperto” (di calcio) nessuno dubitò, così come tutti dettero per scontato che Greco avrebbe tutelato gli interessi della Federazione Calcio da cui proveniva. Gli altri curatori erano Giuseppe Bozzini (uno dei padri fondatori della TV) e Aldo De Martino (buon giornalista dal carattere piuttosto spigoloso) che però gerarchicamente dipendeva dal suo “capo”, Nino Greco. Pigna non aveva niente contro il calcio ma non ne accettava la straripante dittatura alla Domenica Sportiva che si accentuò, ovviamente, con l’avvento del nuovo capo dello sport TV Nino Greco. Inoltre Pigna considerava offensivo per l’intelligenza degli spettatori di “dover” rivolgere agli ospiti, appartenenti al mondo del calcio (onnipresenti in trasmissione), quelle stesse domande che giornali e radio avevano fatto agli stessi personaggi decine se non centinaia di volte durante tutta la settimana. La battaglia contro l’ovvio ed il rimbambimento del pubblico, suggerì la diffusione di una circolare del TG-1 nella quale si chiedeva ai giornalisti-Rai: 1) di non incoraggiare drammatizzazioni e vittimismi; 2) di non utilizzare frasi come “il baratro della retrocessione e il dramma della sconfitta”; 3) di usare le notizie per informare i tifosi, non di aizzarli; 4) di non sottovalutare l’intelligenza del pubblico facendo domande come: che cosa ha provato al momento del gol? Ad onor del vero lo stile della Domenica Sportiva (sobrio e ironico) tuttora sopravvive e si contrappone alle risse da bar sport di alcune trasmissioni TV non estranee agli eccessi di certe “tifoserie”inclini ad assorbire gli alibi che vengono loro offerti (in luogo della lezione di civiltà che poteva e può venire dal mondo dello sport e in particolare dagli “sport minori”.
Dino Buzzati sosteneva che “l’ignoranza stimola il buon giornalismo”. Intendeva dire che il personale interesse per argomenti o personaggi poco conosciuti stimolano, nei giornalisti di razza, la voglia di “apprendere” e, conseguentemente, di “cavarsi la soddisfazione di raccontare ai propri lettori ciò che molti (ed essi stessi) ignoravano”. Pigna aveva imparato la lezione e piuttosto che insistere sul calcio (del quale tutti sapevano tutto), s’inventò, una rubrica, il “Campione della settimana”, con cui “si cavò la (buzzattiana) soddisfazione di scoprire”i personaggi emergenti nel mondo degli sport olimpici (cosiddetti minori) come le giovani “promesse” Gustavo Thoeni, Sara Simeoni, Pietro Mennea, Patrizio Oliva, Renato Dionisi, Franco Arese, la Callligaris, Fiasconaro e tanti altri talenti ignoti al pubblico, ma campioni “in pectore” che, in seguito, avrebbero vinto Olimpiadi e campionati mondiali. Sulle avvincenti storie di alcuni di quei grandi campioni Pigna scrisse un libro I padroni della domenica (Eri Rai, 1973, prefazione di Maurizio Barendson). Il regista della Domenica Sportiva era Bruno Benek che era legato ai Palazzi del potere sportivo ancor più di Nino Greco. Beneck era infatti il presidente della Federazione Baseball. Se oggi la Rai-Tv affidasse il ruolo di “regista” di una trasmissione a un “politico federale” scoppierebbe uno scandalo essendo la TV il maggior veicolo promozionale cui un politico possa aspirare. A quel tempo, invece, lo “scandalo” fu ignorato. Anche dal noto critico-TV Saviane il quale preferì bersagliare di sfottò Pigna (che definì “don medaglietta” perché …premiava talenti sconosciuti) piuttosto che denunciare il doppio ruolo di Beneck. Eppure la notizia che il presidente di una federazione sportiva fosse anche il regista di una trasmissione da 9 milioni e mezzo di spettatori a puntata, sarebbe stato uno “scoop” di pubblica utilità. Oltretutto perchè Beneck aspirava al rango di segretario generale del CONI e cioè a una importante poltrona che dipendeva dal placet (e dal “voto”) dei capi della politica federale e cioè dal presidente del CONI e dai presidenti di federazione (colleghi di Beneck). Perciò quando Beneck, alle riunioni che precedevano la Domenica sportiva,suggeriva si sostituire un filmato in favore di un altro (e cioè di una federazione piuttosto che di un’altra), il sospetto che il suo giudizio non fosse sereno era fondato. E Pigna e Beneck si accapigliavano. . Per capire l’importanza “politica” del ruolo di Beneck giova ricordare che alla carica di segretario generale del Coni (alla quale lui aspirava) fu eletto Mario Pescante, che poi diventò, con pieno merito, Presidente del CONI e, in seguito, Ministro della Repubblica. Questo spiega il motivo che rendevano “roventi” le riunioni che precedevano la messa in onda della “Domenica Sportiva”. Le riunioni avvenivano due ore prima dell’inizio della trasmissione. In esse si concordavano gli interventi in studio, venivano comunicati i nomi degli ospiti “catturati” all’ultimo momento, sui quali Pigna doveva frettolosamente documentarsi e si sceglievano le notizie da mandare in onda. E lì le riunioni diventavano “accese” (eufemismo) specie quando Beneck suggeriva di sostituire una notizia interessante con un’altra di nessun valore giornalistico (ma di sospetto interesse “federale”). Anche i profani sanno che il regista d’una trasmissione in “diretta”, ha il compito primario di mettere il conduttore a proprio agio pretendendo calma e amichevole collaborazione da parte di tutto lo “staff” ad evitare disguidi, errori e gaffes irrecuperabili in una “diretta” e nocivi per tutti. E invece Pigna entrava spesso in studio con un diavolo per capello. Per “merito” del suo regista. Il fatto è che le baruffe fra Pigna e il tandem Beneck-Greco (sempre solidali fra loro), diventarono una costante: ma furono ignote ai più perché i giornali si occuparono soltanto di quelle (pure clamorose) che avvenivano davanti al pubblico presente alla trasmissione. Non trapelò, ad esempio, la notizia di ciò che accadde alla “riunione” di quella domenica sera (inverno 1972), quando Gustavo Thoeni conquistò alle Olimpiadi di Sapporo una medaglia d’oro e una d’argento. Va premesso che Beneck e il “curatore” Greco imputavano (tra l’altro) a Pigna di dedicare troppo spazio a quel ragazzotto altoatesino (Thoeni) “che non spiccicava una parola in lingua italiana”. Dal canto suo Pigna, prevedendo la vittoria di Thoeni alle Olimpiadi di Sapporo, aveva impiegato tre mesi per confezionare il film che avrebbe glorificato l’auspicata impresa del “ragazzotto”. Era un mix di immagini di attualità e di repertorio con interviste inconsuete: come quella fatta alla madre di Thoeni (mentre cucinava nel suo albergo a Trafoi) e via intervistando fino al parroco don Ghilly (che lavorava di zappa al cimitero) e che “anticipò” di tre mesi il rintocco delle campane che aveva programmato per festeggiare il suo illustre parrocchiano. Pigna era perfino riuscito a far “esultare” (con un balzo in sincrono, sul divano di casa) gli austeri genitori di Thoeni ripresi davanti all’apparecchio TV (il tutto sempre tre mesi prima della…vittoria). Fu un atto di fede che Thoeni ripagò vincendo sia la prevista medaglia d’oro in slalom gigante (il giovedì precedente alla trasmissione), sia l’argento che conquistò in slalom speciale all’alba (italiana) di quella domenica. In parole povere Pigna si presentò alla riunione convinto che, almeno in quella circostanza, non gli sarebbe stato lesinato lo spazio per una vittoria “storica”che mancava da 20 anni (Zeno Colò 1952). Era stremato dal lavoro (all’”ampex” e al “montaggio”)che aveva iniziato dall’alba di 4 giorni prima ed aveva fretta di tornare in moviola per terminare il lavoro prima della trasmissione. Al giorno d’oggi la Domenica Sportiva dedicherebbe tutto o almeno due terzi del suo spazio ad un tale evento. Altri tempi, d’accordo: ma i 2’e 30” (due minuti e trenta secondi) assegnati a Pigna per il servizio su Thoeni erano, a dir poco, una provocazione. Tanto più che nella “scaletta”della Domenica Sportiva (di una scialba giornata calcistica) era previsto, fra gli altri, un servizio su un irrilevante “ciclocross ad Arcisate” della durata di 3 minuti e mezzo. Un minuto di più che a Thoeni. Pigna reagì dicendo che lui avrebbe completato il suo reportage e che toccava ai curatori e al regista di assumersi la responsabilità di non mandarlo in onda. Poi tornò in moviola e completò il servizio senza più preoccuparsi di accorciarlo come aveva deciso in precedenza. Il film sulla vittoria di Gustavo Thoeni (vedi la voce film), con il sottofondo musicale delle splendide note di Ennio Morricone (dal film Giù la testa, appena uscito nelle sale) durò 16 minuti e mezzo e andò in onda integro per volere dei responsabili del TG-1 De Luca e Biagio Agnes insensibili agli appelli di Greco che accusò Pigna di grave “insubordinazione”. Al termine della serata fu comunicato a Pigna di aver “ucciso” la trasmissione e che “pertanto ne avrebbe pagato le conseguenze”. Le conseguenze furono che l’atmosfera intorno a Pigna si fece ancor più irrespirabile e peggiorò ancora quando furono resi noti i dati di ascolto della trasmissione (accessibili, a quel tempo, solo per pochi “eletti”). Ebbene, quella puntata della Domenica Sportiva batté ogni record di ascolto precedente (e futuro) avendo registrato (secondo i dati ufficiali dell’ufficio stampa della Rai poi ribaditi dall’ ADNK del 11/5/1993) una media di 16 milioni e mezzo di spettatori con un “picco” di 24 milioni di spettatori durante la proiezione del film su Thoeni! Le rituali baruffe cessarono solo quando Beneck (1973) fu sostituito per “palese… conflitto d’interessi “(!).Resta il fatto che Pigna, costretto a condurre, per 3 anni, una “diretta” importante in condizioni a dir poco disagiate, scoprì col nuovo regista Giuliano Nicastro che, anche facendo una “diretta”, si può lavorare in…pace.
Pigna ha condotto la Domenica Sportiva (prima fase) dal 1970 al 1974 e, ad ogni pausa estiva, i giornali proponevano i nomi di chi avrebbe sostituito Pigna per “ridurre il calo di ascolti e di gradimento” della trasmissione rispetto alla gestione di Tortora. Tutte bugie. In effetti, in base ai dati ufficiali (ADNK), la Domenica Sportiva condotta dal pur bravo Enzo Tortora) ebbe un ascolto di 4 milioni e 900 mila spettatori (1968-1969), mentre nell’anno successivo (Tortora-Bersani: settembre 1968, dicembre 1969) l’ascolto fu di 5 milioni e 300 mila spettatori che salì a 6 milioni e 600 mila spettatori quando Pigna (1970-1971) iniziò a condurre la trasmissione con un costante crescendo fino al già citato record di 9 milioni e 400 mila di media-spettatori per ogni puntata quando Pigna concluse il “mandato” nel 1974. Che Pigna non fosse amato da alcuni addetti ai lavori (specie in TV), si sapeva; che si divulgassero grossolane bugie per farlo fuori, s’è scoperto dopo.
Dopo quattro anni come conduttore… provvisorio (1970-1974) Pigna lasciò la Domenica Sportivacon la media record, per puntata, di 9 milioni e 500 mila spettatori e cioè con un incremento di 4 milioni e 200 mila spettatori (dati ufficiali dell’ADNK – ufficio-stampa della Rai) rispetto ai 5 milioni e 300 mila spettatori (settembre 1969 – maggio 1970) che era stato l’ascolto medio della Domenica Sportiva condotta da Enzo Tortora, per 3 mesi e poi da Lello Bersani. Pigna fu sostituito dal bravo Paolo Frajese.
Pigna annusò l’aria che tirava in Rai, che oggi è di pubblico dominio, quando era troppo tardi. Capì infatti: 1) che in Rai, senza “copertura politica”, non avrebbe mai fatto carriera; 2) che la popolarità piovutagli addosso non solo non era monetizzabile (con marchette da divetto-TV, essendo lui un giornalista), ma gli avrebbe provocato soltanto guai e invidie; 3) che non gli restava altro se non rifugiarsi nel lavoro, per non diventare un emarginato come era accaduto ad altri “riottosi” di talento; 4) che avrebbe ricominciato a scrivere i suoi libri. Per sua fortuna nel contratto-Rai (come “inviato”) era precisato che lui non aveva “obblighi di orario” ma solo di “reperibilità”(e cioè che non era tenuto a frequentare la Rai se non c’era da lavorare). Difatti Pigna, (che, in 25 anni, non ebbe mai né un ufficio, né una sua personale scrivania) andava in sede soltanto quando doveva trasmettere in “diretta” oppure quando confezionava alle moviole le inchieste, le corrispondenze o i ritratti per la Domenica sportiva e per le altre rubriche del TG-1 in collaborazione con operatori, montatori e tecnici di elevato livello professionale, con i quali lavorò sempre in un clima di amicizia e di stima. La Rai pullula di autentici talenti sconosciuti al pubblico.
Terminata l’esperienza della Domenica Sportiva, Pigna continuerà a lavorare in Rai occupandosi di sci e di altri sport, come “inviato” del TG-1 e seguì tutti gli eventi sportivi di rilievo dal 1970 al 1991 (Olimpiadi, Campionati mondiali, 2 Giri d’Italia, Coppe America di vela, etc), teleecronista di sci dal 1975 al 1991 e conduttore di varie altre trasmissioni fra cui Sportivamente (di cui fu anche curatore con Sandro Petrucci e Beppe Viola), dal 1975 Pigna fece le telecronache dello sci. I telecronisti non nominano mai le industrie delle neve neppure se la stessa marca di sci piazza nove campioni fra i primi dieci d’arrivo. Il che non avviene nelle gare di ciclismo durante le quali i telecronisti, insieme con i nomi dei corridori citano sempre anche quelli delle varie industrie che sponsorizzano il corridore medesimo. E’ una consuetudine che è nata con le telecronache del ciclismo e che continua ad essere rispettata; così come i telecronisti di sci rispettano quella di non nominare mai nessuno. E non c’è un perché. Un’ipotesi potrebbe essere che ai telecronisti dello sci non garba d’essere associati alle immagini che la Tv manda in onda: panorami innevati, alberghi di lusso, donne splendide e così via. Sono, per lo più, immagini promozionali (di repertorio) che anche il telecronista vede sul monitor; magari mentre infuria la bufera e la sua postazione è immersa nel nevischio e lui non vede quasi nulla: come accadde il giorno in cui Paoletta Magoni sbucò dalla nebbia e Pigna urlò che aveva vinto le Olimpiadi. Quando Pigna iniziò a fare le telecronache (1975) la Rai trasmetteva non più di 3-4 gare di sci all’anno. Gli ottimi ascolti e la nascita di Rai-3 (1979) propiziarono la messa in onda di tutte le telecronache di sci in calendario (33 all’anno per circa cento ore di trasmissioni in “diretta”annue). Un bel passo avanti che tuttavia provocò l’accavallarsi delle gare e qualche problema al telecronista.
l guaio dello sci alpino è che non può sottrarsi ai capricci della natura. Se il tempo è avverso (troppa o poca neve, troppo vento etc.), la gara viene annullata e spostata altrove. Il che avviene in base agli interessi mercantili degli sponsor (e cioè di chi finanzia la baracca) senza tenere nel dovuto conto le esigenze degli addetti ai lavori: a cominciare dai funzionari-TV (che devono reinventare i “palinsesti”), per non parlare degli atleti, degli allenatori, degli ski-men, dei giornalisti e, “soprattutto”, dei telecronisti. Il “soprattutto” merita una precisazione: la seguente. Una gara annullata va “recuperarla” in altra località. Di solito non c’è che l’imbarazzo della scelta perché sono molte le località alpine che aspirano alla promozione turistica che soltanto la TV può offrire. Perciò capita che una gara annullata venga recuperata in luoghi che si trovano a centinaia, se non a migliaia chilometri di distanza, magari per il giorno dopo: a causa del calendario zeppo di gare. Il che significa che il telecronista deve scapicollarsi per raggiungere, stremato dal viaggio e nel cuore della notte, un ignoto sito dove i posti-letto mancano e le postazioni della TV sono in un fienile. Come s’è detto, ai telecronisti del calcio la Rai assicurava il massimo confort. Ad alcuni, come fu per il bravo Sandro Ciotti, buon amico di Pigna, fu perfino assegnata un ”auto-blu” personale con autista di fiducia. Pigna, da “inviato”, usufruiva (col collega operatore) di un’auto-Rai; però, al Pigna, “telecronista” di sci, la Rai rimborsava, sì, il costo delle trasferte, ma soltanto se lui “accludeva”, alle note-spese, gli scontrini dei treni e delle “corriere” utilizzate per gli spostamenti. Un sacrilegio professionale perché, come tutti sanno, in alta montagna, dove si svolgono le gare di sci, non esistono treni: almeno nel 90 per cento dei casi. E se anche arriva la ferrovia, come fai a spostarti, rapidamente, in un’altra località dove il treno non arriva? Senza contare che un “vero” telecronista di sci non viaggia con la “ventiquattro ore” ma con gli sci e con un bagaglio…adeguato. Le proteste di Pigna rimasero inascoltate e lui continuò ad usare la propria auto rimettendoci i soldi della (molta) benzina occorrente per percorrere le migliaia di chilometri (annui) che lo separavano da Roma (e ritorno) dalle località sciistiche europee (Italia, Austria, Francia, Germania, Svizzera etc.). Biagi e Pigna erano vecchi amici, perciò quando Biagi seppe come stavano le cose, prese in giro Pigna che reagì rammentandogli ciò che Biagi diceva sempre e cioè che “avrebbe fatto il giornalista anche gratis”. E Biagi ridendo gli rispose: “Sì, però tu esageri!” Anche la brava collega Nila D’Alessio, che aiutava Pigna a compilare le “note-spese”, lo canzonava definendolo il “benefattore ignoto della Rai”. Il fatto è che Pigna non aveva scelta: sia perché amava lo sci, sia perché il calendario delle gare gli assicurava tre mesi di attività continuativa durante i quali poteva usare i giorni di riposo per raggiungere la moglie sul suo amato veliero-casa. Pigna diventò telecronista nel 1975 per sostituire Guido Oddo impegnato nella Coppa Davis di tennis. E come “vice” di Oddo, andò alle Olimpiadi invernali di Insbruck del 1976. Sennonché un virus influenzale mise fuori combattimento Oddo e altri colleghi (Paolo Rosi e Adriano Dezan) e il superstite Pigna si improvvisò anche telecronista delle altre gare (fondo e ghiaccio). In parole povere Pigna si guadagnò i galloni sul campo, continuò a fare le telecronache di sci alpino delle gare femminili e contribuì a lanciare la “Valanga Rosa ” (con la Quario, la Giordani, la Zini , Piera Macchi etc) avvalendosi della collaborazione preziosa, anche se purtroppo saltuaria, dell’ex campione di discesa libera Gaetano Coppi. Coppi era stato allievo del leggendario Zeno Colò, abetonese come lui, e ottenne, sul piano agonistico, asai meno di quel che avrebbe meritato per il suo indubbio talento. Il guaio è che Coppi ,si scontrò, caratterialmente, col commissario tecnico della nazionale azzurra di sci Herman Nogler.. Getano Coppi, dimostrò comunque le sue eccezionali doti tecniche come direttore gene1rale della Rossignol e, soprattutto, come lungimirante scopritore di talenti. Fu infatti lui a mettere gli sci ai piedi a talentuosi ragazzini che poi diventarono campioni come il grande Alberto Tomba. Coppi concluse la sua carriera come presidente della FISI ma poco aduso alle alchimie della burocrazia e ai giochi di potere della politica che tracima anche nello sport, mandò tutti a quel paese e si dimise. Uno dei pochi italiani capaci di rinunciare ad una ambitissima poltrona. Peccato, perchè avrebbe potuto fare molto per capacità specifiche e rigore morale. Alle epiche gesta dei campioni della “Valanga Azzurra” (Gustavo Thoeni, Piero Gros etc. ) Pigna si dedicò a tempo pieno dal 1976 quando il suo predecessore Oddo rinunziò allo sci per seguire i campioni di tennis Panatta, Bertolucci, Barazzuti, e Zugarel, il che avrebbe conquistato, con capitan Pietrangeli, un’indimenticabile vittoria in Coppa Davis nel 1976.
Pigna fu telecronista di sci per oltre 15 anni e cioè fino alla pensione. Pigna tenne dunque a battesimo, insieme con Gaetano Coppi, come accennato nel precedente paragrafo, lo sconosciuto “cittadino” bolognese Alberto Tomba che, appena diciottenne, vinse il “parallelo di Natale” del 1984 dando così inizio alla sua irripetibile carriera che raggiunse l’apice con le due medaglie d’oro che conquistò alle Olimpiadi di Calgary. In quella circostanza il Festival della canzone di Sanremo del 1988 fu interrotto per seguire le fasi conclusive della telecronaca che vide Tomba vincere la sua seconda medaglia d’oro in slalom. Quella telecronaca fu seguita da più di 20 milioni di spettatori fra Rai-1 (durante l’interruzione del Festival) e Rai-3 che registrò un ascolto di quasi otto milioni di spettatori per l’intera durata della gara (malgrado la concomitanza del Festival di Sanremo). Ma le Olimpiadi invernali di Calgary meritano un cenno a parte per uno strano record negativo: quello della spedizione-Rai meno numerosa ad una manifestazione come le Olimpiadi: 2 soli telecronisti, 3 radiocronisti nessun operatore e 6 fra tecnici e funzionari. E cioè 11 (undici) in tutto. A Lake Placid 1980, dove il migliore fra gli sciatori italiani si piazzò al sesto posto, la spedizione-Rai olimpica era già stata più numerosa. Non certo come tutte le Olimpiadi successive a quelle di Calgary (ma Pigna ormai era in pensione) alle quali la Rai fu presente con oltre 100 (cento) fra tecnici e telecronisti
La “riforma” della Rai, che divenne operativa nel 1976 prevedeva l‘auspicata “pluralità nella gestione degli enti pubblici” allo scopo di renderli indipendenti dai giochi di potere politici. In parole povere la Democrazia Cristiana accettò di spartire, con altri partiti politici, una “fetta” del suo potere negli Enti a partecipazione statale (compresa la Rai). Però guai a parlare di “lottizzazione politica”! In ossequio alla riforma, Emilio Rossi, indicato dalla Democrazia Cristiana, fu nominato direttore del TG-1, Andrea Barbato ebbe il “placet” del Partito Socialista come direttore del TG-2 mentre il (futuro) TG-3 toccò al Partito Comunista. Quanto ai giornalisti-Rai, fu chiesto a ciascuno di essi di “optare” per uno o l’altro dei Telegiornali. Tutto alla luce del sole; salvo che, a giochi fatti, gli artefici del (mal)fatto rinnegarono l’evento ed i relativi effetti “lottizzatori”. Per dare credibilità all’operazione furono “etichettati” (politicamente) anche professionisti di rango che avevano fatto la storia del giornalismo-Rai, come Sergio Zavoli. Un alibi “meritocratico” che i giornalisti, convocati in assemblea per scegliersi, “optando”, il proprio direttore, accettarono; con l’eccezione di Pigna. “Da che esiste il giornalismo – disse Pigna – sono i direttori che scelgono i propri collaboratori in base alle loro capacità professionali ed ai ruoli da assegnare. Ovvio, del resto: perché se uno di noi sceglie un direttore che non lo vuole, che succede?” Silenzio. Al che Pigna disse che non si sarebbe prestato al gioco e fu l’unico a non “optare” (più che mai deciso a ritirarsi sul relitto che, dopo 4 anni, stava per diventare veliero: vedi: il “veliero-casa”) Quando furono resi noti i nomi degli “optanti” il neo-direttore Rossi convocò Pigna e gli chiese il motivo per cui non aveva “optato” per il TG-1 (e cioè per lui). Aggiunse che la prospettiva di rinunciare ad un “professionista del suo valore lo avrebbe molto addolorato”. Pigna gli spiegò che dimostrandogli la sua stima (e, dunque, la “sua” scelta come direttore), Rossi aveva già rimesso le cose a posto. Si lasciarono con una cordiale stretta di mano e Pigna restò in attesa degli eventi.
Pigna non si faceva illusioni sulle imminenti “nomine” redazionali, pur se nessuno dei colleghi dello sport poteva vantare il suo “curriculum”: sia per i record da lui realizzati in Rai (in “ascolti e gradimento”: vedi: i “record”), sia per i suoi precedenti come direttore di giornali (nell’azienda “Corriere della sera). In effetti: il suo “curriculum” professionale lo qualificava (al minimo) come responsabile di una redazione sportiva. E poi, il direttore Rossi non gli aveva forse esternato la sua stima? Morale: Maurizio Barendson, noto giornalista sportivo del TG fu nominato “capo” dello sport del TG-2 su indicazione del Partito Repubblicano, mentre capo dello sport del TG-1, fu scelto Tito Stagno, ottimo professionista che però non si era mai occupato di sport ed era, per giunta, furioso perché il Partito Socialdemocratico (che lo aveva politicamente “etichettato”), gli aveva garantito la direzione di un radio-giornale (che andò al meno qualificato PinzautiA quel punto Pigna sarebbe tornato a fare l’inviato per il TG-1, come prevedeva il suo contratto, se Stagno non gli avesse chiesto di affiancarlo nel suo nuovo compito. Pigna gli offrì la sua leale collaborazione a patto di continuare a fare il suo lavoro di inviato, di telecronista di sci e di essere presente in Rai solo se c’era da lavorare. Stagno accettò a patto che Pigna gli desse una mano nella gestione della “Domenica Sportiva” che intendeva far “condurre” da Adriano Dezan, esordiente nel ruolo, in coppia con l’ex campione Nicola Pietrangeli. Affidò infatti a Pigna la stesura dei testi della trasmissione (e Pigna eseguì: per anni) ed il compito (implicito) di contribuire, con la sua esperienza, alla crescita professionale di giovani colleghi di talento come Fabrizio Maffei, Claudio Icardi e Jacopo Volpi confluiti nella redazione insieme con la preziosa Nila D’Alessio. Il nucleo iniziale, che già contava su Paolo Rosi, Gianpiero Galeazzi, Sandro Petrucci e Enzo Casagrande, si rinforzò, man mano, con l’arrivo di giovani di valore come Marco Franzelli, Amedeo Goria, Donatella Scarnati, Fedele La Sorsa, Massimiliano Mascolo e Marino Bartoletti.
L’avvento della televisione privata determinò varie reazioni in una Rai adagiata nella realtà monopolistica che ne aveva frenato gli iniziali slanci creativi. Vi fu chi assunse una posizione di passiva superiorità, ma vi fu anche chi accettò orgogliosamente la sfida degli “indici di ascolto” a cominciare dalla redazione sportiva del TG-1 ( e della Domenica Sportiva) che diventò uno degli avamposti più combattivi della “fortezza” Rai esposta agli attacchi della concorrenza. La collaudata professionalità dei veterani e l’entusiasmo delle giovane reclute diede ottimi frutti. Tito Stagno fu un eccellente maestro (di dizione, di “presenza”in video e di sintesi nel linguaggio televisivo), mentre Pigna, lavorando gomito a gomito con i giovani colleghi, trasmise loro i “trucchi” del mestiere di inviato ( di “conduttore” al rientro alla “Domenica Sportiva” e poi a “Sportivamente”) e di “autore” dei “servizi-TV “ dove, secondo Pigna, le immagini fanno più notizia di qualsiasi logorroico “bla-bla”. Quanto agli “effetti” e ai commenti musicali “devono” essere sempre giornalistici e cioè in appropriata sintonia col “tema”della notizia. Le reclute si dedicarono al lavoro con passione, umiltà e con la voglia di vincere l’apatia della vecchia guardia. Ne venne fuori un gruppo di lavoro aperto alle innovazioni tecniche ma tendente a recuperare la qualità del prodotto giornalistico che aveva fatto scuola con insigni maestri come Sergio Zavoli. Fra Stagno (carattere spigoloso e diffidente) e Pigna (effervescente ed istintivo) il rapporto fu idilliaco quando lavoravano insieme; non così quando Pigna si assentava per i suoi impegni di telecronista di sci e di inviato. Un esempio: durante le Olimpiadi di Sarajevo 1984, a Pigna, impegnato nelle telecronache di sci, Stagno impose di rientrare a Milano per non mancare alla conduzione della Domenica Sportiva. Essendo chiusi gli aeroporti, per una tempesta di neve, Pigna fu costretto a prendere un pullman che restò bloccato per dodici ore, prima che gli spazzaneve lo riesumassero. Arrivò comunque a Milano in tempo per condurre la “Domenica Sportiva”, dopodiché tornò a Sarajevo. Ad ogni buon conto la “Domenica Sportiva” fu leader del nuovo corso dando maggiore spazio a bravi professionisti come Aldo Giordani (basket con Mabel Bocchi), Alberto Giubilo e poi Claudio Icardi (ippica) e valorizzando talenti, come Beppe Viola (indimenticabili i suoi duetti con Gianni Brera); ed agli “esperti” di calcio come lo stesso Brera, Helenio Herrera, Italo Allodi e Aldo Agroppi che “bucò lo schermo” sparando bordate contro gli intoccabili palazzi del potere.
Pigna fu richiamato a condurre la Domenica Sportiva dal settembre 1982 al gennaio 1985 e dal settembre 1985 fino al maggio 1986 in tandem con Tito Stagno (con la trasmissione sempre leader di ascolti a dispetto dell’ormai agguerrita concorrenza Mediaset).
Pigna condusse la Domenica Sportiva dal 1982 fino al gennaio del 1985 e poi, in tandem con Stagno, nella stagione 1985-86, fino all’avvento del compianto Sandro Ciotti, col quale Pigna tirava l’alba in strenue partite a scopone che affascinavano Ottavio Missoni. Molte le innovazioni della “Domenica Sportiva”: “dalla moviola dello sci”, inaugurata da Pigna con Mario Cotelli poi sostituito da Gaetano Coppi; alla moviola della Formula 1, con Franzelli, oggi capo-redattore del TG-1. A questo proposito giova ricordare che tutti gli ottimi “praticanti-reclute” della Domenica Sportiva, fecero carriera: da Maffei diventato direttore di Rai-Sport; con Volpi promosso, a sua volta, vice-direttore, a Claudio Icardi, caporedattore, così come La Sorsa e Mascolo diventarono vice-caporedattori mentre la brava Donatella Scarnati si impose fra gli inviati di punta del TG-1. Soltanto Pigna fece la carriera del…gambero: nessuna promozione, né aumenti di stipendio.
Tra l’altro Pigna condusse “Sportivamente” di cui fu curatore con Beppe Viola e Sandro Petrucci. L’idea fu di utilizzare lo spazio-orario precedente al TG-1 delle 13,30: uno spazio snobbato perché considerato, improduttivo anche dall’ufficio pubblicità-Rai. “Sportivamente”fu un successo e per la prima volta si parlò di “trasmissioni-traino” per un TG. In compenso, l’anno dopo, in quello stesso orario, fu programmata la trasmissione della “conta dei fagioli”che lanciò la eclettica Raffaella Carrà anche come brava presentatrice. E “Sportivamente”sparì dai “palinsesti” della Rai.

Nel giugno del 1990 Pigna ricevette una missiva nella quale gli veniva laconicamente comunicato : 1) che l’anno dopo (al compimento dei 65 anni) sarebbe andato in pensione; 2) che pertanto era tenuto a recuperare, ipso facto, i 250 giorni “di ferie arretrate o di giorni di riposo non goduti”. Se non li avesse recuperati non “avrebbe avuto diritto ad alcun rimborso”. Seguivano i “distinti saluti” del direttore generale della Rai. Pigna ne prese atto e comunicò al suo “capo” Tito Stagno che, così come gli era stato “ingiunto”, se ne sarebbe restato a casa per i successivi 250 giorni. Stagno (che già lo aveva confermato come curatore della Domenica Sportiva al suo fianco) ottenne, in (parziale) risarcimento, un forfait di 2 milioni e mezzo che Pigna incassò a 500 mila lire al mese nei suoi ultimi 5 mesi in Rai. In parole povere la Rai ammise “ufficialmente” il valore professionale di Pigna solo quando, da pensionato, non poteva più né promuoverlo né aumentargli lo stipendio (pur confermandolo curatore della Domenica Sportiva fino al 1994 con un contratto a termine: da pensionato).
Nel giugno 1991 Pigna fu il protagonista di“Festa di Compleanno” che la grande Loretta Goggi gli dedicò su Tele-Monte Carlo. Alla trasmissione partecipò la famiglia di Pigna al completo nonché i suoi amici e i colleghi più cari fra cui Enzo Biagi e Gustavo Thoeni che fra un ricordo e un aneddoto ne ripercorsero la carriera con Gaetano Coppi (telecronache), Gianfranco De Laurentis (ex Tribuna Illustrata), l’attore Gianni Cajafa, fino al generale Filippo Ordine (ex compagno di collegio a Monte Cassino) e al cantautore Ugo Calise (Milano Sera, 1950) che, insieme con Loretta Goggi, convinsero Gustavo Thoeni a cantare in dialetto napoletano una canzone dedicata al festeggiato. Pigna andò quindi in pensione, ma Stagno lo confermò (al suo fianco) curatore della Domenica Sportiva. Nel 1994 Pigna rinunciò al contratto-Rai perché la Domenica Sportiva fu spostata, senza motivo, da Rai-1 su Rai-3 (poi, su Rai-2) e ad un orario (le 23,30) che consentiva alla concorrente “Pressing”condotta da Raimondo Vianello, da sempre battuta in precedenza, di andare in onda con un’ora di vantaggio. Fu un regalo della Rai all’azienda (rivale) di proprietà di Silvio Berlusconi che era stato appena eletto Presidente del Consiglio.
Pigna rinunciò alla Rai e se ne tornò sull’“Intrepido”, ormai non più relitto ma apprezzato veliero. Smise quando i figli sbarcarono seguendo (giustamente) ognuno la propria strada. Rimasto senza più equipaggio (i figli, la nuora e il genero), Pigna, venduto il veliero, s’è ritirato, con la moglie Liliana in una casetta in Toscana dove cura l’orto ed ha ricominciato a scrivere i suoi libri. Alfredo Pigna ha collaborato con L’EUROPEO, L’INTREPIDO ed altre note testate. Per la radio ha condotto SPORTIVAMENTE, ha anche scritto alcune canzoni per lo ZECCHINO D’ORO. Ha anche sceneggiato IL VIAGGIO DI MASTORNA, progetto sempre sognato (ma mai realizzato) da Federico Fellini. Cantore della “valanga azzurra” di sci, delle prime imprese di Alberto Tomba, di  di Paoletta Magoni a Sarajevo nel 1984, dell’Olimpiade di Calgay che fece fermare il Festival di Sanremo. 
Alfredo Pigna ha scritto sette libri, il primo, a soli ventitre anni, nel 1949, un romanzo, Baid, nel 1964 pubblicò “Il Romanzo delle Olimpiadi” edito da Mursia (con la prefazione di Gino Palumbo: finalista al Premio Bancarella e ristampato in varie edizioni, l’ultima nel 2012 uscita in occasione delle Olimpiadi di Londra con la prefazione di GianPiero Galeazzi), nel 1965 dette alle stampe “Miliardari in borghese”, pure edito da Mursia (la prefazione di Dino Buzzati), che vinse il premio “Dalla Gavetta” in tandem con l’industriale Ferdinando Innocenti (uno dei protagonisti del libro) che fu proclamato “Maestro di Vita”. Nel 1972 pubblicò il primo dei due volumi sul “Romanzo della boxe” dal titolo “A pugni nudi” pure pubblicato da Mursia nel 1972, seguì nel 1973 “ I Padroni della domenica” (Eri, Rai), nel 1974, I Re del ring” (con la prefazione di Ruggero Orlando), edito da Sugar, che fu ristampato da Garzanti (in 50 mila copie, come “tascabile” e distribuito in tutte le edicole). Nel 1974 fu pubblicato “Monaco ‘74” (editore Bietti) che Alfredo Pigna scrisse insieme con i colleghi della “Domenica Sportiva” Aldo De Martino, Bruno Pizzul e Carlo Sassi.
Tra i vari riconoscimenti, in oltre mezzo secolo di attività: il premio Grata d’oro (1959) per la trasmissione San Vittore Show realizzata nel carcere milanese in favore dei detenuti, (vedi la voce “San Vittore show”), il premio Dalla Gavetta per il libro Miliardari in borghese (1965), il premio Sport – Civiltà per la TV (1987) insieme con Italo Cucci premiato per la carta stampata e con l’olimpionico Maurizio Damilano, (Premio all’atleta) e il “Galeone d’argento per “la più bella barca-idea del Salone Nautico di Genova 1976” (l’Intrepido: un relitto che trasformò in veliero e diventò la sua casa: Il veliero-casa). Ma il premio a lui più gradito fu quello della bellunese Cinzia Mares che analizzò il decennale sodalizio di Pigna con Buzzati nella sua tesi di laurea “Buzzati Cuoco” nella quale svelò la geniale attività quotidiana (la meno conosciuta) del grande giornalista-scrittore bellunese.
ll 19 maggio 2008 ad Alfredo Pigna è stato assegnato dalla giuria dell’USSI (Unione Stampa Sportiva Italiana) presieduta da Jacopo Volpi, il “Premio alla Carriera”. Un premio che Pigna considera un risarcimento visto che in 25 anni trascorsi alla Rai-TV non ha mai avuto nè un aumento di stipendio, nè una promozione.

Alfredo Pigna è morto a Roma il 19 novembre 2020, a comunicarlo, con un post su Facebook, è stato il collega Franco Zuccalà.

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