Festival del Rock a Milano

copertina sorrisi 1960 WILLIE WEE HARRISMilano è stata la prima città italiana ad importare il rock and roll. Tutto partì nel 1955 con ROCK AROUND THE CLOCK, partono il rock, i juke-box e i blue-jeans che nel 1956 in Europa,  alla fine del 1957 a Milano, capitale della discografia e della moda musicale si inizia a pensare all’organizzazione di un Festival italiano del rock.  All’inizio del 1957 si era diffusa la voce di un’ordinanza della Questura milanese che proibiva di indossare i jeans, ma la notizia era falsa.  Quando nel 1956/57 si inizia a parlare (ma soltanto a parlare sottovoce) del rock a Milano, in Italia sono in testa alle classifiche dei dischi più venduti Aurelio Fierro, con A’ SONNANBULA, Renato Rascel con ARRIVEDERCI ROMA, Tonina Torrielli, Gino Latilla e Carla Boni, CASETTA IN CANADA’ di Gloria Christian, LA PIU’ BELLA MADONNA di Marino Marini, COME LE ROSE di Nilla Pizzi, PICCOLISSIMA SERENATA di Teddy Reno, CANZONE DA DUE SOLDI di Katina Ranieri. Fanno eccezione all’imperare della melodia all’italiana Renato Carosone, Bruno Martino, Fred Buscaglione, e, in parte, Domenico Modugno (non ancora Mister Volare) con MUSETTO.

Il 18 maggio 1957 si tiene infatti a Milano il primo festival del rock italiano,  organizzatore è Bruno Dossena, un ballerino che morirà prematuramente, sono in 5000 all’interno del Palazzo del Ghiaccio (2000 restano fuori), si esibiscono lo stesso Bruno Dossena, Torquato il molleggiato (che di li a poco modificherà il suo nome d’arte in Jack La Cayenne poiché un giornalista presente aveva soprannominato il molleggiato un altro cantante, un certo Adriano Celentano che canta MOVIMENTO DEL ROCK), Guidone (al secolo Guido Crapanzano), Tony Renis, Babe Gate (Anna Maria Mazzini, poi Mina), il chitarrista Giorgio Gaber, il sassofonista Luigi Tenco e il chitarrista Enzo Jannacci. Fra il pubblico è presente Gigi Vesigna che così conosce e fin dagli esordi intuisce le potenzialità di Adriano Celentano, Lucio BattistiGiorgio GaberMina, nascono delle amicizie insossidabili, allorquando diventerà giornalista e direttore di TV SORRISI E CANZONI.

copertina sorrisi 1960 WILLIE WEE HARRISI primi rockers italiani si ispirano ad Elvis Presley, e a Gene Vincent,foto ghigo Wee Willie Harris (che si presenta tutto vestito con pelle di leopardo) e Colin Hicks, ma anche a Jonny Hollyday, La tv italiana dell’epoca non ama gli artisti rock e se proprio deve mandare in onda immagini di artisti stranieri preferisce la melodica Brenda Lee.     Il ghiaccio è rotto appunto al Palazzo  del Ghiaccio, nel 1958 e nel 1959 si organizzeranno altri Festival: al Teatro Smeraldo di Milano e in vari locali di Roma.  All’allegra brigata si uniscono: Fausto Denis (nome d’arte di Fausto Leali), Giuseppe Negroni, Johnny Baldini, Ghigo e Clem Sacco (che si esibisce in mutande), Henry Wright, Little Tony. Una delle poche donne rock della prima ora (oltre a Mina) è Brunetta, che ha una solida formazione musicale e suona diversi strumenti, Brunetta fino all’inizio degli anni ’80 si foto clem saccoesibirà con molti artisti, fra i quali Fred Bongusto, da circa vent’anni fa la casalinga. Il padre di Brunetta era un percussionista, il fratello suonava diversi strumenti. Ghigo fu uno dei pionieri produttivi del rock italiano non si limitò a fare cover americane ma propose brani propri (il più famoso è COCCINELLA, la storia del primo transessuale italiano).  Dopo un solo passaggio televisivo la Rai bandisce Ghigo che a 50 anni di distanza, ha ricordato: “secondo la Rai cantavo da negroide, avevo dei problemi fonogestuali, si in effetti ero un grande casinista”.  Non apparve mai in tv Clem Sacco, nonostante alcune immagini siano rimaste per 50 anni negli archivi Rai senza essere mandate in onda fino al 2 dicembre 2006, allorquando Michele Bovi lo ospitò e propose alcune immagini di repertorio mai mandate in onda dall’emittente televisiva di Stato. Ghigo fu il rocker italiano più censurato dalla tv, dai discografici, dal mondo della canzone, ma non accettò mai compromessi e portò i suoi brani (fra i quali ricordiamo IL DEFICIENTE, VOGLIO L’UOVO ALLA COCQUE, BACIAMI LA VENA VARICOSA) di rock demenziale al suo pubblico direttamente nei concerti.  Clem Sacco è stato definito da Renzo Arbore “il papà degli Skiantos e il nonno di Elio e le Storie Tese”. Clem Sacco aveva studiato lirica, a 50 anni di distanza ha dichiarato che i suoi cantanti di riferimento erano Enrico Caruso e Beniamino Gigli e non Claudio Villa o Nilla Pizzi, esponenti di quegli anni della melodia italiana.  Dalle cover di brani americani i giovani passano ad interpretare brani rockeggianti propri, il primo a proporre questi brani sarà Adriano Celentano che propone IL TUO BACIO E’ COME UN ROCK e a Sanremo presenterà 24.000 BACI.  La tv di Stato apre le porte agli urlatori, a IL MUSICHIERE di Mario Riva arrivano Mina con NESSUNO (versione urlata di un vecchio successo), Giorgio Gaber (che dopo avere esibito come chitarrista nei night club, e dopo essersi esibito con Celentano e con Little Tony in gaber versione rockerBE BOP A LULA) presenta CIAO TI DIRO’.  Sia Mina, che Gaber, dal rock passeranno al successo con brani melodici.  Resta invece legato al rock Guidone, che è uno dei primi ad entrare, ma anche ad uscire a Celentano.  Al Clan Celentano appartengono altri rockers come Gino SantercolePilade (Lorenzo Pilat) nascono i primi gruppi come i Califfi di Clem Sacco, quindi è la volta de I Giganti.  Secondo Renzo Arbore il rock italiano ha fatto da matrice ai futuri successi di Mina e Giorgio Gaber.     Gli anni ’60 saranno caratterizzati dall’affermazione degli urlatori, dei rocker, dei cantautori, la canzonetta cuore/amore va definitivamente in pensione,  arriva in Italia il fenomeno Beatles e Rolling Stones.   Nel 1965 arrivano i Beatles a Milano. a fare da spalla ai Beatles, presentati da Lucio Flauto, saranno Guidone e Peppino Di Capri. Guidone è oggi un grande esperto di numismatica.

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PERSONAGGI ED EVENTI MILANESI

di Massimo Emanuelli

Giorni prenatalizi del Natale 1959, nel capoluogo ambrosiano, e in Italia, è esplosa la “guerra dell’elettrodomestico”. Le case produttrici nazionali e straniere si danno battaglia senza esclusione di colpi per conquistare un mercato in rapida espansione. Alle grandi imprese a capitale americano ed europeo, come Philco, Indesit, Triplex e Cge, si affiancano le più recenti marche Candy, Castor, Ignis, Zanussi e Merloni. I vecchi e i nuovi imprenditori del settore cercano di superarsi nell’inventare aggeggi sempre più complessi e “indispensabili” per le case degli italiani. I migliori architetti e designer italiani vengono arruolati per realizzare elettrodomestici dalla forme invitanti e futuribili. Il milanese Marco Zanuso disegna il nuovo macinacaffè Subalpina e il frigorifero Homelight, Geranzani inventa lo “style” della rivoluzionaria lavatrice Fullmatic Candy,  Spadolini domina nel settore dei televisori e i fratelli Castiglioni primeggiano nel difficile mercato degli aspirapolvere delle lampade elettriche.  La televisione, che ha ormai battuto il cinema, sta entrando nelle case degli italiani. A Milano per Lascia o raddoppia, popolare quiz condotto da Mike Bongiorno, i cinema dapprima chiudono, poi programma prima del film la trasmissione condotta da Bongiorno.  Le forze dell’ordine devono intervenire alla Rinascente di Milano per le troppe persone presenti nel magazzino.  Nei negozi sono molto venduti anche i dischi, da qualche anno spopola fra i giovani il rock and roll, allo Smeraldo, un teatrone milanese da 3000 posti, svolge la Sei giorni della canzone, organizzata dal quotidiano Il corriere lombardo, si tratta di una lunga kermesse musicale con centinaia di cantanti, direttori d’orchestra ed ospiti d’onore, fra i quali vi sono Vittorio De Sica e Vittorio Gassmann. Fra i cantanti spiccano Tony Renis, Little Tony, e una ragazza che si presenta con il nome di battesimo, anzi un diminutivo, è un urlatrice e canta Nessuno, tenendo il microfono fra le gambe, si chiama Mina. Nei locali notturni milanesi spopolano Renato Carosone con Maruzzella e con Tu vo fa’ l’americano e Peppino Di Capri con le sue canzoni napoletane. Verso la fine degli anni ’50 nascono locali più piccoli e meno eleganti, ma che sorgono come i funghi. Il costo di ingresso della balera è contenuto, pagando il biglietto lo spettatore ha diritto anche alla prima consumazione gratis. I gestori risparmiano sul costo dell’orchestra perché ora fanno ballare i clienti con i dischi e con i complessi composti al massimo da cinque elementi. I night milanesi portano nomi altisonanti come San souci, Marocco, Astoria, Porta d’Oro, Maxime, Gatto verde e Shanghai. Per i giovani frequentare il night è un’occasione per incontrarsi e conoscersi, ai balli lenti si alternano i frenetici boogie-woogie importati dall’America, le vecchie mazurke, le polche e il valzer, a farla da padrone sono la musica americana e quella napoletana. Fra i complessi che riscuotono i maggiori consensi nei night milanesi ci sono quelli di Don Marino Barreto junior, Peppino di Capri, Peter van Wood, Renato Carosone, Gorni Kramer, Marino Marini, Bruno Martino, il Quartetto Cetra e Lelio Luttazzi, tutti artisti ormai noti, o che fra poco lo saranno. Fra i giovani artisti emergenti si impone un milanese, nato nel popolare quartiere dell’Isola, Franco Cerri, che dopo avere fatto diversi mestieri come il fattorino, l’ascensorista, l’operaio e l’impiegato, intorno ai trent’anni ha trovato la professione a lui congeniale, quella del chitarrista.    La stagione scaligera 1959/60 ha in cartellone Hansel e Gretel di Humperdinck, Machbet di Bloch, Parsifal di Wagner e Le troiane di Berliotz, il successo della stagione è comunque il Doctor Faust per la regia di Carlo Maestrini con Dino Donde nella parte di Faust e Aldo Bertocci nella parte del Mefistofele. Al Piccolo Teatro vanno in scena Platanov e altri, dramma inedito di Cechov, la Maria Brasca di Testori, e una nuova edizione di Arlecchino servitore di due padroni di Strheler.  AL Teatro Odeon esordisce come regista Dario Fo, presentando lo spettacolo Gli arcangeli non giocano a flipper, cui farà seguito, sempre dello stesso Fo, Aveva due pistole con gli occhi bianchi e neri. Nelle sale cinematografiche milanesi spopolano La dolce vita di Federico Fellini con Marcello Mastroianni e Anita Ekkberg, e Rocco e i suoi fratelli di Luchino Visconti, che metta in scena la Milano degli operai e della borghesia, rispondendo così alla Roma felliniana. Maryline Monroe e Yves Montand sono gli apprezzatissimi interpreti di Facciamo l’amore, altro grande film di successo della stagione. Per la prima volta dal dopoguerra i teatri non fanno il tutto esaurito, ciò non va attribuito alla crisi economica, siamo anzi in pieno boom, ma alla concorrenza delle Olimpiadi, che nel 1960 si svolgono in Italia, precisamente a Roma, e a quella della televisione che fiacca il desiderio dei milanesi di andare a teatro. A parte il coprifuoco del giovedì sera, quando va in onda Lascia o raddoppia, alla fine degli anni ’50 la televisione è ormai entrata nelle case di moltissimi milanesi. Il piccolo schermo è diventato il palcoscenico di tutti i divi: Enzo Tortora, Mario Riva, Ugo Tognazzi, Raimondo Vianello, oltre al re incontrastato Mike Bongiorno, si esibiscono tutti sul piccolo schermo e abbandonano gradualmente il palcoscenico. Alla prima milanese de La dolce vita sono presenti Federico Fellini, Marcello Mastroianni e Anita Ekkberg, lo shock è forte anche per una città considerata aperta e avanzata; una certa borghesia bigotta lombarda reagisce istericamente a quest’opera di altissimo valore artistico, denuncia non soltanto della condizione di un ambiente ridotto a esibizionismo scioccamente edonistico, bensì anticipatrici della crisi di valori e di istituti che fra breve calerà sull’Italia a mettere fine alla dolcezza del vivere. Fellini rappresenta gli effimeri di una stagione illusoria, e ne lascia intravedere la sorte al di la dell’ozioso e contingente piacere di un’esistenza identificata nella notte di via Veneto, in una montante mania di frivolezza. Come puntualmente accade a tutte le opere precorritrici, anche per La dolce vita nessuno si accorge della profonda lezione morale in essa contenuta e dei suoi segnali allarmanti. Nessuno vuole riconoscersi in quel personaggio, immagine precisa e crudele di un mondo sull’orlo di un imminente sfacelo, guai a turbare, come fa Fellini, il beato nirvana in cui tutti corrono ad abbandonarsi. Fellini ha capito tutto e ha lavorato due anni al suo capolavoro dovendolo sospendere, quando i soldi sono mancati il milanesissimo Angelo Rizzoli gli è venuto in soccorso, ha finanziato il film e lo ha presentato in anteprima assoluta a un gruppo di amici nel suo cinema privato dopo una cena nel suo palazzo di via Gesù.  Rizzoli non lo ha ancora visto e ne esce distrutto quando, nell’intervallo, si riaccendono le luci e ci si accorge che è sparito, sconvolto dall’idea di avere buttato il suo denaro per un’opera di cui immagina l’esito disastroso con quelle crude immagini respinte con orrore dalla sua etica di ex Martinitt, non è riuscita a resistere fino alla fine. Poi La dolce vita si rivelerà un trionfo incassando soltanto nel primo anno di programmazione oltre due miliardi. Il giornalista Renzo Trionfero dice a Rizzoli: “bisogna che lei trovi il modo di compensare Fellini, non basta quello che è stato pagato per contratto”, e Rizzoli sarà d’accordo e penserà di regalare al regista un orologio d’oro. Altrettanto rumore si registra al cinema Capitol, alla prima milanese, con la presenza dello stesso Fellini e degli attori: il pubblico trova lo spettacolo troppo lungo, poco comprensibile e immorale. L’orgia finale irrita i mondani, partono grida di protesta: “schifo, vergogna, basta!”.  Alla fine Fellini esce dalla sala fra i fischi e mentre scende la scalinata della galleria avverte qualcosa di umidiccio sul collo, si volta e vede vicinissimo il viso paonazzo di uno che gli ha sputato addosso, una folla di scalmanati benpensanti lo assale fuori dalla sala, una signora della buona borghesia gli grida: venduto ai bolscevichi.  Volano ingiurie e sputi, si urlano accuse di oscenità e depravazione. Marcello Mastroianni viene apostrofato da gente che gli urla: “vigliacco, vagabondo, comunista”.  La troupe va a mangiare il risotto alla milanese al Biffi Scala, dopo la colazione l’organizzatore propone di tornare al Capitol, ma dalla via Manzoni si scorge una ressa interminabile: la folla ha sfondato le porte di cristallo del cinema per entrare a vedere La dolce vita prima che sia sequestrata. Il prefetto minaccia di far chiudere il cinema per ragioni di ordine pubblico.     Nel 1959 il rock and roll è ormai sulla cresta dell’onda;  liquidato prematuramente come un’effimera infatuazione adolescenziale, il rock and roll, malgrado alcuni contrattempi, si sta rivelando in grado di occupare stabilmente i primi posti delle classifiche per oltre dieci anni. Nel 1955 Billy Haley e i Comets con (We’re gonna) Rock around the clock seppero toccare la corda giusta nel cuore del pubblico giovanile, nelle piccole città di provincia fino ai Campus universitari. Dopo Rock around the clock, subito salito al primo posto nelle classifiche, venne lo straordinario successo di Elvis Presley, e il rock divenne la forza trainante della musica rock degli anni ’50. Altri dominatori della scena pop furono, fra i tanti, Little Richard, Chuck Barry, Fats Domino e Jerry Lee Lewis.  Il ritmo trascinante e le esibizioni spregiudicate dei nuovi cantanti diedero l’avvio a furiosi dibattiti sull’effetto dannoso della nuova musica sulla gioventù americana. Discussioni e polemiche raggiunsero l’apice nel 1957, con la terza apparizione di Elvis Presley all’Ed Sulliwan Show, quando le telecamere “censurarono” gli atteggiamenti provocatori del cantante. Nel fuoco di queste polemiche la musica passò in secondo piano. Ibrido per natura, il rock and roll si è dimostrato il punto di incontro di diverse forme musicali americane. E la musica sembra sicuramente avvantaggiarsi dall’immissione di influenze diverse come il country, il rythm and blues, il gospel, il jazz e il Chicago blues. Dopo dieci anni di crescenti trionfi il successo dei nuovi ritmi prosegue e i giovani continuano ad agitarsi a tempo di rock.    Sono arrivati anche i rockettari nostrani come Clem Sacco, Roberto Dossena, Adriano Celentano, Ghigo, urlatori come Toni Dallara, Giorgio Gaber in versione rock.  Ciao ti dirò,  la canzone d’esordio di Celentano interpretata anche da Gaber, è scritta a quattro mani con Luigi Tenco, e legata alla prima apparizione televisiva di Gaber a Il Musichiere del 1959. Gaber canta anche Be bop a lula, interpretata con i Rolling Crew, brano conosciuto per la voce di Gene Vincent. La passione per il rock and roll contagiò il primo Gaber, come del resto tutti i ragazzi di mezzo mondo, nella seconda metà degli anni ’50. Al Santa Tecla, tempio milanese dell’avanguardia, Giorgio Gaberscik, così si chiamava all’anagrafe, fu uno di quei giovani che, chitarra alla mano, emulava i vari Presley, Little Richard, Jerry Lee Lewis, Bill Haley. Insieme a lui “il molleggiato” Adriano Celentano, Enzo Jannacci, con il quale formerà il duo I Due Corsari, e Luigi Tenco che dividerà le prime esperienze musicali come compagno d’orchestra nei Rocky Mountains, gruppo che diventerà poi I Campioni di Toni Dallara. E’ da li che Gaber fa il suo debutto come cantante sostituendo, a causa di un’indisposizione, Wanna Iba, voce dell’orchestra.    E’ il 1958 e Gaber, grazie a Nanni Ricordi, approda alla Dischi Ricordi, qualche mese dopo è sul palco del Palazzo del Ghiaccio di Milano per esibirsi al Festival del rock and roll, quindi è ospite del programma radiofonico Il gazzettino padano.   I tempi stanno cambiando: alla rivoluzione operata da Modugno seguirà l’avvento degli urlatori e del fenomeno beat. I dischi non sono più i vecchi 78 giri, né i 33 giri (che arrivati in Italia nel 1951 sono per ora usati per le incisioni classiche, e che si affermeranno solo negli anni ‘70), ma i nuovi 45 giri, piccoli, leggeri, infrangibili, destinati ad un pubblico giovanile che vedeva la Pizzi come il passato.   Il sindaco di Milano è il socialdemocratico Virginio Ferrari, primo cittadino dal 1951, coprirà tale carica fino al 1960.

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