Lelio Luttazzi nacque a Trieste il 27 aprile 1923, figlio di una maestra elementare e di un commerciante che volevano per lui un figlio avvocato: Lelio riceve la prima formazione musicale da don Crisman, parroco di Prosecco, che gli impartisce lezioni di pianoforte per alcuni mesi nella canonica del paese. Dopo la scuola dell’obbligo si iscrive al Liceo Petrarca di Trieste; lì instaura una grande amicizia con un suo compagno di classe, Sergio Fonda Savio, nipote di Italo Svevo. Lelio studia giurisprudenza all’Università di Trieste, comincia a suonare il pianoforte a orecchio e si divide fra il jazz (che suona in casa o con amici) e la musica leggera, con la quale, insieme ad alcuni compagni di università, si guadagna un pò di soldi suonando nei bar e negli stabilimenti balneari. I genitori lo mandano a Torino per fare il praticantato senza immaginare che il destino del figlio avrebbe preso un’altra strada: “Avevo imparato a suonare il pianoforte dal parroco quando ero bambino, e così per divertirmi continuavo a strimpellare con i compagni di studi. Erano gli anni della seconda guerra mondiale e una sera, per guadagnare qualche lira, andavo a suonare in teatro prima del concerto di Ernesto Bonino, un cantante allora molto in voga. Bonino rimase molto colpito dalla mia esibizione tanto che alla fine dello spettacolo mi chiese di comporgli una canzone”. Lelio senza troppa convinzione si mette al pianoforte: in testa aveva i motivetti americani, quelli suonati a ritmo di swing, un genere musicale divertente e trascinante, parente del jazz, molto in voga negli Stati Uniti, ma sconosciuto in Italia, che lui ascoltava la sera alla radio. Una nota dopo l’altra ed ecco che finì per comporre la sua prima canzone, Il giovanotto matto: “il testo l’avevo scritto sul libro di diritto privato mentre studiavo legge e fui bocciato, erano gli anni della guerra, vivevo a Trieste. Lo feci sentire ad Ernesto Bonino che era arrivato a Trieste con uno spettacolo del Guf e lui la prese. Alla fine della guerra mi arrivò una lettera gialla della Siae, con 350.000 lire, era allora una fortuna, per me, povero studente, figlio di maestra, era come diventare ricco. E infatti con quei soldi me ne andai a Milano.” Un giorno arriva a Trieste il trombettista americano Dizzy Gillespie, Luttazzi lo sente suonare e si innamora del suo jazz sanguigno e pieno di swing, si chiude in casa per mesi e studia musica, poi si mette a suonare per davvero. Si sposa con una ragazza della sua città, Magda Prendini (il matrimonio verrà poi annullato dalla Sacra Rota), dalla quale ha nel 1949, una figlia, Donatella, diventata poi cantante. Negli anni del dopoguerra nella Trieste ancora “territorio libero” e non ancora italiana, Lelio trova nel jazz un modo per riaffermare la libertà della sua generazione, e ben presto arriva a Roma dove milita in formazioni di successo nel giro di musicisti come Piero Piccioni, Armando Trovaioli, Gianni Ferrio. Nel frattempo continua a fare anche musica leggera, ed è l’incontro con Teddy Reno, anche lui triestino, a portare Luttazzi nel mondo discografico. Reno si era fatto finanziare dal padre una piccola casa discografica, e Luttazzi ne diventa il direttore artistico. Per anni i due si dividono glorie ed anche quattrini, poi la coppia si scioglie e Luttazzi ne forma un’altra in coppia con Gorni Kramer. Diviso ancora fra la passione per il jazz ed i suoi derivati, che gli procurano glorie ed onori nell’elite degli afecionados e nel giro dei cantanti e dei musicisti, e la necessità di sconfinamenti della cosidetta musica leggera (fonte di guadagni e di successo) col grosso pubblico. Luttazzi lavora a Radio Trieste e scrive canzoni di successo per altri interpreti (Souvenir d’Italie e Vecchia America, (Quartetto Cetra), Muleta mia (Teddy Reno, Quando una ragazza a New Orleans (Jula De Palma), Bum ahi che colpo di luna, Una zebra a poi (Mina) ed interpreta El can de Triete, Canto anche se sono stonato, Legata ad uno scoglio, Sono tanto pigro. “Dicono che suono bene il pianoforte, invece le mie dita sono rigide. Il motivo? Non faccio esercizi perchè sono troppo pigro persino per alzarmi dal letto” dice con autoironia. In merito ai suoi successi dichiarava: “Tutte canzoni – sosteneva lo stesso Luttazzi all’epoca del loro successo – che ho scritto in mezz’ora, con il solito proposito di fare quattrini”. Dopo avere fatto il direttore d’orchestra della trasmissione radiofonica Punto interrogativo con Silvio Gigli, Delia Scala, Teddy Reno e Alberto Bonucci, conduce con Gorni Kramer in tv Musica in vacanza, quindi è l’autore del programma radiofonico Programmisssimo presentato da Corrado, dove insieme ai direttori d’orchestra Fragna e Trovaioli è protagonista dell’agone musicale fra canzone melodica e moderna. Luttazzi fa qualche incursioni nel mondo del cinema in ruoli di carattere: Sua altezza ha detto di no (1954), Il motivo in maschera di Stefano Canzio (1955), e L’avventura di Michelangelo Antonioni (1960). Lelio Luttazzi ha i numeri del grande istrione, sa suonare le swing ma è anche ironico ed elegante, un vero gentiluomo. Nel 1960 debutta nel varietà televisivo con Sentimentale e con Questo nostro grande cinema. Nel 1959 è fra gli autori di Nati per la musica, programma radiofonico con Gorni Kramer, Jula De Palma, Teddy Reno e il Quartetto Cetra. Nel 1963 alla vigilia del Festival di Sanremo al quale avrebbe dovuto partecipare come direttore d’orchestra, resta vittima di un grave incidente stradale che lo costringe a sospendere la sua attività per qualche tempo. Ma appena torna al lavoro si riaprono per lui le porte della radio e della televisione. Prima come musicista e in seguito come presentatore, ironico e spiritoso padrone di casa di varie trasmissioni televisive riscuote una serie di successi in programmi che vanno da Il paroliere questo sconociuto (1962) a Musica insieme (1963) con Renata Mauro (accanto alla quale è anche protagonista di numeri Carosello) e Il signore di mezza età (sempre del 1963). Quindi è la volta di Strettamente musicale, show con poche battute e moltissimi sketch, presenta cantanti vecchi e nuovi, ospite d’onore di ogni puntata un attore del cinema che interpreta una canzone in incognito, rivelandosi al pubblico solo dopo avere cantato”. Altri successi televisivi di Luttazzi sono: Specialissimo, I magnifici tre con Kramer e Ferrio (1964), ma soprattutto Studio Uno. Se con Il paroliere questo sconosciuto, al fianco di Lelio, Mike Bongiorno e Isa Bellini si era affermata Raffaella Carrà, con STUDIO UNO Lelio lavora al fianco di Don Lurio, Mina, le gemelle Kessler, Milly e Luciano Salce, e un cast eccezionale di ospiti eccezionali: da Henry Belafonte e Perry Como, Walter Chiari, Zizi Jeanmarie, il mimo Giancarlo Cobelli e una debuttante Rita Pavone”. Il varietà Studio Uno, il primo grande varietà del secondo canale Rai da poco nato, è destinato a passare nella storia della televisione italiana è diretto da Antonello Falqui, ha un linguaggio televisivo tutto nuovo frutto di un’esperienza maturata dallo stesso Falqui durante un viaggio negli Stati Uniti dove ha visto un nuovo modo di fare spettacolo e televisione. Studio Uno è essenzialmente un varietà che riempirà i sabati sera degli italiani per cinque anni, ma l’aspetto musicale è fondamentale. Basti pensare al Dadaumpa inventato da Don Lurio per le gemelle Alice ed Hellen Kessler, al ruolo di Mina, perfettamente a proprio agio nei panni della soubrette, fino a Rita Pavone, Ornella Vanoni e il. Fra i protagonisti di Studio Uno ci sono i volti più amati televisione di allora: Alberto Sordi, Vittorio De Sica, Bice Valori, Franca Valeri, Sandra Milo, Walter Chiari, Paolo Panelli, Luciano Salce, naturalmente il nostro Lelio Luttazzi, Sandra Mondaini e Raimondo Vianello. Nei programmi televisivi Lelio presenta, canta e balla: mitici sono rimasti i suoi siparietti con le gemelle Alice ed Hellen Kessler, loro erano le brillanti ballerine dell’epoca, ma lui, ballando accanto a loro, sapeva splendere e attirare l’attenzione. Quindi Luttazzi era un vero e proprio showman. Poi anche il cinema inizia ad accorgersi di lui e del suo talento di attore. All’inizio i produttori gli offrono di comporre le colonne sonore di film come Totò lascia o raddoppia di Camillo Mastrocinque, Totò Peppino e la malafemmena. Luttazzi si dedica anche alle colonne sonore cinematografiche e a musiche per vari spettacoli di rivista, compare anche come attore in diversi film fra i quali ricordiamo l’episodio Guglielmo il dentone de I complessi con Alberto Sordi, L’ombrellone di Dino Risi e Io io e gli altri di Alessandro Blasetti. Lelio Luttazzi è stato un simpatico artigiano che ha rallegrato l’Italia con deliziosi calemborug musicali, con le sue zebre a pois, le vecchie americane, le ragazze a New Orleans, e qualche volta anche con dolci e sognanti melodie.
Il 6 gennaio 1967 nasce la Hit parade radiofonica condotta da Lelio Luttazzi, il primo titolo era Vetrina di Hit parade su testi di Sergio Valentini, nel giro di pochissimo tempo la classifica di Luttazzi del venerdì entra nell’immaginario collettivo. Per tutti gli operatori del settore musicale è un punto di passaggio obbligato. In onda ogni venerdì alle 13,00 sul secondo canale radiofonico, la Hit parade era suggerita dai giudizi di un campione di ascoltatori, ma il processo di selezione non era noto al grande pubblico che in generale credeva si trattasse di una classifica fondata sulle vendite e comprendente solo i primi 8 brani. Ancora un’intuizione geniale con l’invenzione di una trasmissione nuova, unica per l’Italia. E’ l’epoca dei 45 giri con il lato A e il lato B, gli anni di Bobby Solo e Little Tony, di Orietta Berti e Lucio Battisti, quando per la prima volta Lelio grida alla radio per presentare la sigla: “Hiiit Paaarade”. Quell’urlo entra nelle case degli italiani rimanendovi per anni, puntuale ogni venerdì all’ora di pranzo sul secondo programma radiofonico, con un rituale consueto e così insolito per quell’epoca: c’erano gli applausi finti in studio, i monologhi a ruota libera fra un brano e l’altro, la classifica di gradimento e di vendita, e quelle parole, la “canzone regina” prima in classifica, la “damigella d’onore” in seconda posizione e “la nuova entrata” che oggi suonano fuori moda ma che allora facevano balzare gli indici di ascolto. C’erano la musica italiana ma sempre anche tanto swing. Lelio Luttazzi diventa una leggenda: il suo programma piace i giovanissimi e ai loro genitori e unisce i radioascoltatori di ogni età in nome della musica come mai era accaduto prima. Hit parade nel 1972 raggiunse i 5.500.0000 ascoltatori, nel 1973 venne affiancato da Speciale vetrina di hit parade che replicava i brani ai primi quattro posti della classifica. Suscitò scandalo la dichiarazione di Luttazzi “fra una canzone e l’altra leggevo il giornale”.
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La generazione nata negli anni ’60 tanto è vero che Daniele Luttazzi (vero nome Daniele Fabbri) ha scelto tale cognome in omaggio al grande Lelio. Luttazzi ritorna in tv con Doppia coppia, spettacolo per la regia di Eros Macchi con Alighiero Noschese, Sylvie Vartan, Bice Valori e Lelio Luttazzi, per la prima volta in questa trasmissione compare la satira politica, mitica resta la sigla finale Buonasera buonasera. All’inizio degli anni ’70 Luttazzi viene coinvolto in un’incredibile vicenda giudiziaria: lo accusano insieme a Walter Chiari di detenzione e spaccio di stupefacenti, i due popolari beniamini televisivi vengono arrestati, solo dopo una lunga Odissea Lelio e Walter risulteranno completamente innocenti e saranno scagionati da ogni accusa. Nel maggio 1970 Lelio aveva ricevuto una telefonata da un suo amico, il celebre attore Walter Chiari: “per favore chiama questo mio conoscente, di che mi telefoni, io non riesco a mettermi in contatto con lui”. Luttazzi non capisce il vero motivo, ma la richiesta era tipica di quello “svagato caciarone” di Walter. E telefonò senza sapere, si mise a parlare con una spacciatore di droga, quella telefonata dal contenuto innocuo era stata intercettata dalle Forze dell’Ordine e considerata la prova di un reato. Qualche giorno dopo, il 22 maggio, a casa del musicista si presenta la Guardia di Finanza: “lei è in arresto per spaccio di droga” gli dissero. “Io non ne so nulla della cocaina, vi sbagliate, sono una persona perbene”, provò a difendersi. Il musicista venne portato in carcere a Regina Coeli e sbattuto sulle prime pagine dei giornali come il peggiore dei delinquenti. Venne arrestato anche Walter Chiari che spiegò l’accaduto, ma solo qualche settimana dopo gli inquirenti capirono che Luttazzi era completamente estraneo alla vicenda, che si trattava di un clamoroso errore giudiziario. Dopo ventisette giorni di detenzione venne scarcerato: “ogni mattina mi dicevo: oggi è il giorno buono, oggi capiscono che non c’entro, oggi mi mettono fuori. Ma niente” scrisse nel libro di memorie Operazione Montecristo, che in parte ispirò il film di Alberto Sordi Detenuto in attesa di giudizio. I ventisette giorni di carcere erano stati un’eternità per Luttazzi, che non si riprese più da quell’esperienza: “per me è come morire dentro – dichiarò anni dopo – tutto passa nella vita, ma a me è rimasta questa spina nel cuore”. Da allora Lelio si allontana dal mondo dello spettacolo. Ricompare nel 1991/92 per partecipare al varietà televisivo Festa di compleanno condotto da Gigliola Cinquetti; nello spazio musicale affidatogli Lelio suona canzoni del suo repertorio e del jazz americano degli anni ’30; nel 1998 Luttazzi è uno dei presentatori della trasmissione di Rai2 Scirocco. Poi di nuovo il silenzio fino a quando, nel settembre 2006 viene rilanciato da Fiorello nel suo programma Viva Radio due che lo fa rinascere fuori, ma soprattutto di dentro: “Fiorello è delizioso, – dichiarò Lelio – mi tratta come fossi un padre artistico.” Nel 2008 lo vuole Maurizio Costanzo al Maurizio Costanzo Show, quindi è ospite anche di Fabio Fazio a Che tempo che fa. Nel 2009 partecipa al Festival di Sanremo accompagnando la cantante Arisa nel brano Sincerità. Lelio Luttazzi muore la notte dell’8 luglio 2010 all’età di 87 nella sua casa di Trieste fra le braccia della moglie.




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